Cosa (non) abbiamo imparato dalla pandemia. Buon anno

Una riflessione da usare come augurio per il nuovo anno, il terzo scandito dalla pandemia.

C’è una cosa che il Covid ci ha insegnato e che dovrebbe far riflettere. Non che tutto può cambiare all’improvviso, come è accaduto due anni fa, quando il virus che sembrava lontano ha bussato alla porta e si è intrufolato in casa, relegandoci sui balconi a urlare che sarebbe andato tutto bene. E nemmeno che molte volte le promesse lasciano il tempo che trovano. Aver giurato dei momenti difficili, quando non si intravedeva la luce in fondo al tunnel, che saremmo stati persone migliori non ci ha cambiato, anzi. Ci ha reso più insofferenti, meno tolleranti, più egoisti. Abbiamo subito dimenticato quando piangevamo perché ci mancavano gli abbracci, i sorrisi nascondi dalla mascherina, una vita normale.

Tutte queste cose fanno capire che la lezione più grande che ci ha dato il Coronavirus non l’abbiamo imparata. Se possibile ci comportiamo peggio di prima. E allora questo è l’augurio che (ci) facciamo per il nuovo anno. Di ricordare il passato, di non dimenticare quello che siamo stati e quello che vorremmo essere, di avere fiducia, di stare in silenzio quando le parole non servono e di urlare quando bisogna farsi sentire, di aiutare gli altri, ma anche di non aver paura di farsi aiutare, di avere coraggio di dire quel che si pensa senza offendere chi ha un’idea diversa, di non cancellare i buoni propositi, di non chiudere i sogni in un cassetto. Di avere cuore. Sempre.

“Niente impedirà al sole di sorgere di nuovo, neppure la notte più oscura. Poiché oltre la nera cortina della notte c’è sempre un’alba che ci aspetta”. Khalil Gibran

Buon anno