Crolla la scala, ma l’anima del Salento non vacilla. La costa di Roca regge il territorio intero

L’ennesimo cedimento della parete rocciosa in una spiaggia di Roca, riporta all’attenzione di tutti l’importanza di uno dei luoghi più belli della Puglia. Che merita più attenzione.

Se si trattasse di un qualsiasi altro posto potremmo anche passarci sopra, arrabbiarci non più di tanto e preoccuparci fino ad un certo punto, ma non è possibile, perché si tratta di Roca, il luogo che racconta come niente e nessun altro la storia del Salento.

Qui nei giorni scorsi, a seguito di una recente mareggiata, è addirittura crollata la scaletta in pietra realizzata per agevolare l’accesso al mare di turisti e bagnanti, i gradini si sono staccati di colpo e la scaletta, come si vede dalle foto di alcuni frequentatori consapevoli del luogo, è sprofondata in acqua, divelta dal tumultuoso moto marino stimolato dalla tramontana.

Roca, magistra vitae, santuario della Storia, manuale dell’architettura militare di Terra d’Otranto, posto troppo bello e troppo importante perché certe cose possano accadere e passare inosservate.

Stabiliamo il perimetro della nostra riflessione: in primo luogo non esiste altrove un sito che possa raccontare in poche centinaia di metri quadrati la frequentazione dell’uomo dalla preistoria all’età moderna. Roca, luogo d’incanto e approdo poetico di anime luminose, luogo da ascoltare e penetrare in silenzio, l’unico parco archeologico a ridosso del mare, dove l’Adriatico comincia a cedere il passo allo Jonio, mare quest’ultimo ben più ardito e dalle più consapevoli profondità. Insomma un luogo che non ha eguali, insuperabile, mirabile, dall’eco implacabile.

Nella spiaggetta di Portuligno si riversano durante la bella stagione centinaia di persone ogni giorno, famiglie, comitive, coppie. La falesia è a rischio crollo, da sempre, questo lo sanno tutti. In passato altri cedimenti, altri distaccamenti del costone roccioso hanno ridisegnato la faccia del luogo, e solo il periodo di minor frequentazione balneare ne ha impedito l’ingresso in cronaca.

Come molti anni or sono guidammo la battaglia per la tutela e la conservazione del santuario della Poesia (Posia si dovrebbe dire, ma prevale il gergo popolare che ha distorto una parola greca), e che ha portato a discutibili interventi di salvaguardia, pur motivati da valide e condivisibili esigenze, così come abbiamo lottato al fianco di amministratori locali (il compianto Vittorio Potì), di docenti universitari e ricercatori (il compianto Mimmo Pagliara) e di grandi studiosi (il compianto Gino Santoro), oggi più che mai (i troppi amici compianti significa che il fatale andare del tempo miete dappertutto e pertanto anche la bellezza della costa è destinata a passare a miglior vita), dopo anni e anni Roca rivendica il posto che gli compete, e cioè il trono di località più importante in assoluto, dove l’attrattiva del mare non deve diventare oltraggio alla sacralità dei luoghi (troppa gente si tuffa e si azzuffa d’estate sugli esili ricami di scogliera che cingono la cosiddetta poesia grande, o falsa Poesia, ovvero quella meravigliosa piscina naturale famosa ormai a livello internazionale).

Chi va a fare il bagno lì dovrebbe sapere che a trenta metri sorge uno dei più importanti santuari dell’antichità e quanto meno avrebbe il dovere di genuflettersi dinanzi al ventre della dea madre. Chiunque avrà motivo di confondere il culto cristiano di un santuario mariano e la processione antropologica di messapi, greci e latini, che si snoda sotto la statua di Santa Maria di Roca.

Quando 25 anni fa si poteva percorrere ancora il cunicolo semisommerso che dal mare conduce alla Poesia (80 metri al buio), ebbene, noi lo abbiamo percorso, e quando sbucammo tra le impalcature dell’Università degli Studi di Lecce, così si chiamava allora l’università del Salento, sapevamo perfettamente di trovarci al centro della storia. Ed oggi, a pochi metri dall’isola della torre medievale, dalle tombe del villaggio rochese, dal castrum che ospitò le truppe aragonesi acquartierate nella baia di Torre dell’Orso per liberare Otranto dai turchi saraceni, al cospetto delle mura del castello, dinanzi agli altari del dio Taotor, difronte all’energia della dea madre, nemmeno una mareggiata, sorretta dai potenti soffi del dio Eolo, può permettersi il lusso di buttare a terra una scala costruita per andare a fare il bagno.

Perché il gesto comune di un ingresso in acqua in qualsiasi altro posto sarebbe semplicemente un bagno a mare, ma qui diviene un rito iniziatico, l’immersione in una fonte battesimale.

Perché ricordiamo sempre il pescatore Giovanni, che per anni andava a pesca sugli scogli tra l’Oasi e la Poesia e si faceva il segno della croce passando vicino alla grotta, sotto la statua della Madonna e sopra l’anima del Salento. Anche lui lo sapeva.



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