In attesa di capire le sorti della “succursale” di Porto Badisco, la sede principale del Bar Skafé di Uggiano la Chiesa, non chiuderà i battenti. E ciò, nonostante l’ordinanza della fine dello scorso anno, con cui la terza sezione del Tar Puglia Lecce aveva respinto la richiesta di sospensiva avanzata dai proprietari contro l’ordinanza comunale che, dopo vari esposti di alcuni residenti della zona disturbati, a loro dire, da schiamazzi notturni, aveva disposto la chiusura del chiosco bar.
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha ritenuto che i ricorrenti fossero titolari di autorizzazione per l’esercizio dell’attività di commercio su area pubblica di sostanze alimentari e non già per l’esercizio pubblico di bar, mentre il concreto assetto dei luoghi, come accertato dalla Polizia Municipale a seguito di sopralluogo effettuato il 12 gennaio 2021 con la presenza di consumatori, di numerosi tavoli e sedie e suppellettili tipici della attività di esercizio pubblico di Bar e soprattutto con l’occupazione con tavoli e sedie anche dell’area esterna sarebbe stata sintomatica al di là di ogni ragionevole dubbio di una vera e propria attività di esercizio pubblico con somministrazione assistita.
A seguito della decisione di “Via Rubichi”, quindi, i titolari del locale hanno proposto appello al Consiglio di Stato con l’Avvocato Mauro Finocchito, dimostrando come nei fatti e attraverso i documenti l’attività effettivamente autorizzata – al di là di quanto formalmente previsto dal piano di commercio – sia sempre stata sin dal 2003 quella di Bar, ha chiesto e ottenuto dai Giudici di Palazzo Spada la riforma del provvedimento del Tar ed il ripristino dell’attività del pubblico esercizio, avendo il Consiglio di Stato disposto che essa possa proseguire come sin qui svolta sino a che la questione non sarà stata adeguatamente approfondita nel merito e decisa con sentenza.
La questione non finisce qui, però, perché nel frattempo l’Ufficio Tecnico del Comune di Uggiano, sul presupposto che la struttura lignea del chiosco-bar fosse stata realizzata di dimensioni maggiori, in difformità rispetto al permesso di costruire rilasciato, ne ha disposto la demolizione.
Per evitarla i titolari dello Skafè hanno presentato, dapprima, istanza di sanatoria, ritenendo che l’intervento rientrasse tra quelli suscettibili di assenso postumo, seppur in zona vincolata paesaggisticamente e poi, altro ricorso al Tar con l’Avvocato Finocchito contro il diniego del Comune alla sanatoria maturato per silentium per effetto del decorso di sessanta giorni in difetto di risposta comunale.
Con ordinanza pubblicata in data di ieri, la prima sezione del Tar, con una lunga motivazione, ha sospeso il giudizio richiamandosi ad ordinanza del Tar Lazio che ha sollevato davanti alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3, 24 e 113 Cost. dell’art. 36 del Testo Unico sull’Edilizia, norma che, nel disciplinare la sanatoria edilizia, prevede che in caso di mancata risposta dell’ufficio tecnico entro sessanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza di sanatoria quest’ultima debba ritenersi respinta. Il Tar Lecce, ha condiviso le considerazioni del Tar laziale secondo cui “il riconnettere all’inerzia dell’Amministrazione sull’istanza di sanatoria un effetto di diniego, introduce un
sicuro elemento di incertezza nel rapporto tra cittadino e Soggetto pubblico, impedendo al primo di poter comprendere le ragioni della reiezione, e costringendolo, ove non presti adesione, a ricorrere ad una tutela giurisdizionale ‘al buio’, con aggravamento della propria posizione processuale.”
Tali provvedimenti permettono quindi allo Skafé di proseguire attualmente la propria attività di bar, con sollievo per il grande seguito di giovani che lo frequentano.
Esprime soddisfazione il legale che ha difeso l’esercizio nei vari gradi di giudizio: “Per la risoluzione di una questione rivelatasi piuttosto complessa ed articolata da superare, oltre che di grande interesse, in prospettiva, per la questione sollevata dinanzi alla Corte costituzionale che potrebbe risolvere la controversa diatriba circa la legittimità costituzionale della possibilità, attualmente riconosciuta alle amministrazioni comunali, di non rispondere alle legittime istanze di sanatoria dei privati, con effetti negativi per questi ultimi anziché per l’amministrazione inottemperante”.