‘Don Salvatore, aggiu fattu la figura de lu fessa’, il ricordo di una campagna elettorale a Lecce nel 1964

Con la sua solita ironia, lo scrittore salentino Edoardo Micati racconta a Leccenews24 il ricordo di una campagna elettorale nel capoluogo: i manifesti, una vecchia 500 e i pezzetti di cavallo al sugo

Era da circa due mesi che non mi sentivo con un mio amico maceratese, così ho saputo che suo figlio Antonio, un ragazzo di circa 25 anni, si era candidato in una lista civica comunale per le elezioni che sarebbero dovute esserci a giugno, ma che erano state rinviate a causa di questa maledettissima pandemia.

E mi ha detto: ‘Edoardo, voteremo a settembre. Un casino. Ho speso tanti soldi per Antonio, per niente; è saltata tutta la programmazione, dovrò rifare tutto, e chissà se se gli amici che avevano deciso di aiutarmi saranno più disponibili’.

Gli ho dato i miei auguri stabilendo che ci saremmo sentiti presto.

Un casino ha detto. Se ci pensate più che un casino lo definirei lo stravolgimento totale delle norme della politica, quando mai delle elezioni si son rinviate per un virus? Per una guerra certamente, per l’avvento di un dittatore, ma mai, neanche le più perverse menti umane avrebbero potuto pensare ad un agente patogeno per annullare le votazioni comunali a Briga Alta nel cuneese, il comune più piccolo, con soli 40 abitanti, o a Macerata.

Però che coincidenza, il figlio del mio amico si chiama Antonio, proprio come il nostro Antonio che nel lontano 1964 si candidò per essere eletto consigliere comunale a Lecce.

Pure lui aveva più o meno la stessa età, così come noi della comitiva, chi ancora all’università, altri appena laureati, impiegati dello stato, commercianti, quasi tutti ancora legati agli aiuti dei genitori. Le sere d’estate il luogo d’incontro a noi preferito era il Bar Napolitano, situato nello stesso complesso del Teatro Massimo, seduti attorno ai tavolini, nell’ampio marciapiede, dove solitamente si ordinava un solo caffè in ghiaccio, sempre lungo, per dieci di noi che si sedevano, suscitando l’ira di don Alfonso.

Fu lì che noi amici convincemmo Antonio, iscritto al Partito Liberale Italiano, di concorrere ad un posto di consigliere comunale nelle elezioni che si sarebbero tenute il 22 e 23 novembre. Volevamo che uno giovane come noi ci rappresentasse fra tanta gente vecchia, e quasi sempre la solita.

I fratelli Beppe e Massimo tappezzarono una vecchia Topolino, tanto da coprirla tutta, lasciando solo un quadrato di venti per venti sul parabrezza, con i manifesti in cui appariva il nostro candidato sorridente. Lucio, Gisi, Peppino, Riccardo, Franco, Giovanni, Gianfranco, Beniamino,Vito, Peppino e i due Mario, ognuno a distribuire volantini nelle cassette della posta o contattando i propri amici e parenti, infine mesciu Pippi si dette da fare, lui che era una maschera di un ben noto Teatro leccese, ad attaccare manifesti abusivi.

Ed a proposito di manifesti anche io mi detti da fare, certo non mettendoli nella vetrina del nostro negozio, un commerciante non deve mai essere di parte, lo sarà nel suo intimo. Ma torniamo ai manifesti. Volendo anche io fare la mia parte, rivestii il lato destro della 500 belvedere del negoziante di mobili nostro dirimpettaio con tante belle facce sorridenti del nostro bell’Antonio, sapendo che alle tredici e trenta, puntuale come sempre, sarebbe salito nell’auto per raggiungere il suo paese, uno di quelli che fanno corona alla città di Lecce.

Alle diciassette ritornò per riaprire. La 500 era così come si trovava prima che la ricoprissi di manifesti. Però il commerciante di mobili venne nel nostro negozio, scuro in viso, guardandomi con fare sospetto, e chiese di mio padre.

– Don Salvatore, tu che hai il negozio dirimpetto al mio, hai visto per caso chi è stato a riempire la parte destra della mia 500 di manifesti?
– No, non è che sto sempre a guardare dall’altra parte.
– Don Salvatore, aggiu fattu la figura de lu fessa, tutti allu paise che ridevano quando passavo e non sapevo perché, fino a quando ho incrociato mio suocero che mi ha fatto fermare e vedere. Ma poi la cosa peggiore è che tutti sanno che sono della Democrazia Cristiana, pure io candidato alle elezioni de lu paise, e andavo girando cu la faccia de rimbambitu de dhu liberale. Cose te pacci.

Quella fu l’unica e ultima volta che mi impegnai in una competizione politica per un amico, ma l’ho fatto con piacere.
Per la cronaca. Antonio fu eletto e fece carriera politica e professionale.

E’ ovvio che facemmo una gran festa, in uno dei, a noi, più noti ristoranti salentini, alla Trattoria de Li Mattuni a Cavallino, dove le ordinazioni le prendeva la proprietaria, un’anziana signora, capelli bianchi portati a crocchia, grembiule sbiadito, maculato di mille macchie datate di sughi, intingoli e brodetti vari.

Ci elencò il menu: pezzetti te cavaddhu allu sugu, gnemmarieddhi de trippa, pittule, municeddhi, pesieddhi a ceca maritu, fave cu le cecore reste, le rape nfucate, lasciando per ultimi li turcinieddhi, certi involtini fatti con le interiora d’agnello.
Ordinammo un po’ di tutto, l’appetito non ci mancava ed alla fine ognuno pagò per il conto suo, pure Antonio.

Ora ditemi, se non fosse stato per Antonio il maceratese, il rinvio delle elezioni comunali causa coronavirus, mi sarebbe mai potuto venire in mente il mio amico Antonio e il lontano 1964?

P.S. Antonio è uno dei miei amici di FB e questa storia gliela dedico.



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