La cuceddhra e le ‘nserte, la dura giornata delle tabacchine nella filastrocca di Miriam Perrone

È il duro lavoro delle tabacchine con la cuceddhra nelle mani ad ispirare la filastrocca di Miriam Perrone. Quanta fatica dietro ogni ‘nserta da stendere sul tiralettu

C’è stato un tempo, nemmeno molto lontano, in cui nel Salento si coltivava il tabacco. Era ancora una volta la terra a dare da mangiare alle famiglie contadine che avevano deciso di restare o che non avevano la possibilità di cercare fortuna altrove, di fare la valigia e partire. Il lavoro era duro, scottato dal sole, il sudore raccontava la fatica, i sacrifici spesso avevano la voce di una donna. Erano le ‘fimmine’ a dedicarsi al Tabacco, come descritto nella celebre canzone popolare.

Oggi delle fabbriche, dei campi, degli attrezzi non resta più nulla, se non il ricordo di nonne e bisnonne che sin da piccole infilavano con la cuceddhra le foglie alle prime luci dell’alba. Una ad una per realizzare le ‘nserte da appendere sui tiraletti, “osservati speciali” perché il tabacco non doveva bagnarsi. L’acqua o l’umidità avrebbero vanificato tutto il lavoro che, per le più esperte, continuava in magazzino, nella fabbrica, dove sotto lo sguardo della maestra curavano quel prezioso carico.

I cunti, ovvero i racconti, si intrecciavano con la stanchezza in un tempo che sembrava immutabile per chi lo viveva e che adesso ci sembra lontano anni luce.

La filastrocca dedicata alle tabacchine

Quanta fatia m’è passata tra le mani
intra dru tiempu ca passava chianu chianu.
Sittata su nu pisulu ‘nfilava, tra nu cuntu e nu ticitu puntu e nu sacciu quante ‘nserte purtava a ‘cuntu.
‘Nserta dopu nserta, la sira calava su dra spaddra perta.
Già te caruseddra mama me ‘mparau cu busu la cuceddhra, e me ticia ca na fimmina tante cose era sapire fare, cu bete beddra.
Dre manu ci le itivi sote, sulu quannu pregava, riuscia cu le tene ccote …

Traduzione
Quanto lavoro mi è passato tra le mani
in quel tempo che scorreva lento.
Seduta su uno sgabello infilavo le foglie di tabacco,
tra un racconto e un dito punto dal lungo ago
e ho perso il conto di quante ne ho insertate
fino a quando non arrivava sera e tornavo a casa con il mal di schiena.
Sin da quando ero piccola mia madre mi insegnò ad usare l’ago
dicendomi che una donna doveva saper fare tante cose per essere bella.
Quelle mani dure che solo quando pregavi si chiudevano e si raccoglievano.



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