La persecuzione dei commercianti, fra tasse, controlli e multe

Pubblici ufficiali, vigili e incaricati del Comune pronti a monitorare con attenzione ogni minima trasgressione degli operatori commerciali leccesi. Anche la lavagnetta che espone il menù fuori dal ristorante è un lusso.

Occhi attenti, troppo attenti a sanzionare, multare e tassare. La vita è difficile per i commercianti e gli esercenti a Lecce, come altrove probabilmente, ma a Lecce sicuramente.
In guardia quindi, perché i controllori sono in agguato come falchi, forse come avvoltoi, e c’è poco da fare.

Domenica sera, durante la processione del Corpus domini, in piena movida serale, il centro della città è stato attenzionato con cura da chi, per conto della Pubblica Amministrazione, aveva il dovere di verificare se le insegne pubblicitarie o anche più semplicemente le lavagnette esterne ai bar e ai ristoranti fossero a posto. A posto con il pagamento della relativa tassa si intende.
Perché viviamo in un Paese, il Belpaese (bello per altre ragioni evidentemente), in cui non c’è una pressione fiscale alta, ma una vera e propria persecuzione fiscale. A fronte di servizi spesso inesistenti o quantomeno scadenti, il cittadino deve corrispondere ai vari livelli dell’Amministrazione Pubblica quattrini su quattrini.

Siamo d’accordo sulla necessità di dover pagare le tasse, ma non tutto deve essere soggetto a tassazione. Siamo i primi a pretendere il rispetto delle regole, ma le regole sono per l’uomo, non l’uomo per le regole.

A questo si aggiunge un ragionamento di carattere culturale. Una città che vive di turismo e di commercio, perché non c’è nient’altro a cui affidare le speranze di tenuta economica, può vedere in atto una guerra fratricida fra gli operatori commerciali e della ristorazione e i pubblici ufficiali? L’insegna luminosa, il tavolino, la lavagnetta, devono essere considerati elementi di deterrenza o strumenti di promozione dell’intero sistema cittadino e territoriale? Bisognerebbe innanzitutto rispondere a questa domanda.