Il prof ‘no covid vax’ che sarà sospeso scrive ai suoi alunni: ‘Ragazzi, mi hanno umiliato. Ascoltate i miei silenzi!’

Alessandro Macchia, uno dei docenti di Lettere più stimati del territorio, ha deciso. Lui non si vaccinerà e sarà sospeso. Inizia la sua battaglia di disobbedienza civile. La lettera agli alunni

“Il governo ha deliberato che io non posso più lavorare perché, rifiutando il vaccino, sarei pericoloso. E qui la misura è colma, e io dico basta. Lotterò con la mia penna e con la disubbidienza civile”. Il prof. Alessandro Macchia, tra i docenti di Lettere più amati e stimati del territorio, ha preso una decisione forte: non si vaccinerà. Le sue convinzioni lo portano a questa scelta. E ne paga le conseguenze: da domani non potrà più svolgere le sue docenze con i suoi alunni. Sarà sospeso, come prevede la norma. Ma da oggi inizia la sua battaglia. Senza stipendio e mettendoci la faccia e il cuore. Lui che non vuole definirsi no-vax perchè in vita sua ha detto sì a tutte le campagne di vaccinazione. Ma per questa contro il covid ha più di qualche dubbio.

Noi di Leccenews24, in questi mesi, abbiamo abbracciato l’altra posizione pur senza condividere una inutile guerra di religione. Per noi vaccinarsi è fondamentale, è necessario. Ma le parole del professor Macchia non meritano il silenzio, non meritano di restare lontane dal cuore di quegli alunni che lo amano, perchè lo considerano il loro ‘maestro‘. Per un momento noi ci facciamo da parte e lasciamo la parola a lui e ai suoi ragazzi. Ecco la lettera:

“Care alunne e cari alunni miei,
tanto tempo fa, in seno al Cristianesimo, si formò una corrente detta dei pietisti. Questi credenti avevano l’abitudine di aprire le Sacre Scritture a caso e di considerare a sé rivolto il passo evangelico che cadeva sotto i loro occhi. Io non sono un pietista, ma, fin da bambino, faccio spesso esattamente la stessa cosa con qualsiasi libro mi capiti fra le mani. Qualche giorno fa, per esempio, in libreria, ha catturato la mia attenzione un volume di Elias Canetti, un grande autore del Novecento. Ho aperto a caso, con la convinzione che mi si sarebbe rivelato un pensiero che si confaceva al momento storico e personale in questione, e, in cima alla pagina, ho trovato quanto segue: «Scrivono come se la guerra fosse stata un sogno, ma un sogno d’altri.» Si tratta di un pensiero che il nostro scrittore aveva lasciato sulla pagina con la probabile intenzione di una futura più approfondita elaborazione. È dunque un frammento. Ma in quel frammento risiede qualcosa di profondamente vero. Ve lo spiego. In tutti i miei anni di insegnamento, per una questione di uniformità didattica e di ossequio alle iniziative scolastiche, ho contribuito a celebrare le varie giornate della Memoria: quelle per i caduti in guerra, quelle per i deportati nei lager e via dicendo. Ma l’ho sempre fatto con un certo disappunto. Detesto queste celebrazioni laiche, specialmente fuori dei contesti scolastici, perché le considero piene di ipocrisia, di parole vacue e vane. Sapete come funzionano? Or bene, i posteri salgono sul piedistallo e motteggiano contro gli antenati che non hanno saputo riconoscere il male, l’ingiustizia, il dolore. Ecco, ne parlano come se la guerra, le dittature, fossero un sogno lontano: un sogno o, meglio! un incubo d’altri. E invece la colpa è anche nostra, di ognuno di noi, perché ognuno di noi di fronte all’iniquità del momento coevo si comporta come il cattivo levita della parabola del buon Samaritano.

Ma se noi ci guardiamo bene attorno, constatiamo che quei sogni terribili di violenza e di prepotenza di Stato sono oggi e qui. In questa nostra terra si respira una brutta aria. Ed è sufficiente sfilarsi la mascherina della propaganda, che serra le bocche ed anche gli occhi e le orecchie, per avvedersene. E allora vorrei tanto che voi toglieste per un attimo quelle brutte museruole di panno per provare a sentire il dolore, l’umiliazione che provo in questo momento. Ho lavorato tanto nella mia vita, e credo di aver dato lustro a questo Paese con i miei libri, le mie conferenze, le mie trasmissioni musicali, le mie ormai antiche lezioni universitarie. Nonostante ciò, l’Italia non mi ha parimenti ricambiato. In un preciso momento della mia vita ebbi la possibilità di andarmene all’estero. Non lo feci.

Sono rimasto qui, nella nostra Lecce, e ho cercato di continuare a fare le cose che amo. La mattina a scuola e il pomeriggio e le notti davanti al computer, a scrivere monografie e narrative, a continuare quella ricerca che il mondo accademico italiano aveva cercato di inibirmi. Ho sopportato in maniera pacata la demeritocrazia fisiologica di questo Paese. Poi è arrivato l’inconcepibile. Il governo ha deliberato che io non posso più lavorare perché, rifiutando il vaccino, sarei pericoloso. E qui la misura è colma, e io dico basta.

Voi mi avete riconosciuto all’istante, come dei bravi professori d’orchestra riconoscono a prima vista il valore del direttore: avete riconosciuto un adulto che vi avrebbe capito, un adulto che meritava di essere ascoltato perché, come dite voi, racconta tante storie che sui libri non ci sono. Ma, ancor prima che per il mio sapere, credo che mi abbiate riconosciuto per un poco di umanità. Avete percepito dentro di me una fiamma viva che vi accoglie, che vi abbraccia. Avete capito che non sono un uomo di cartone. Vi siete fidati. E allora, con le parole del vostro amato Dante, a ciascuno di voi ora dico: «Apri la mente a quel ch’io ti paleso / e fermalvi entro.».

Vi dico che oggi si sta progressivamente costituendo un sistema di controllo sociale e politico totalitario, dissimile da quelli che i libri di Storia vi fanno conoscere, ma che con quelli del passato ha una cosa in comune: fomenta le paure collettive, poi disgrega il tessuto sociale e infine distrugge lo stato di diritto. Non ho modo in questa breve pagina di analizzare il tutto, ma provate a immaginare cosa sarebbe se un insegnante in classe seminasse la zizzania fra di voi, specie dopo aver seraficamente parlato di inclusione. E se poi cambiasse anche le regole della civile convivenza quotidiana a ogni giro di settimana, non vi sentireste forse disorientati e anche presi in giro? E non pensereste forse che questo individuo è un cialtrone oppure un impostore?

Oggi vi lascio. Per non so quanto tempo. Io ritengo che sia la cosa più cattiva e indegna che uno Stato possa fare: sottrarre senza una ragione che sia realmente valida un insegnante ai suoi propri alunni. Hanno interrotto un percorso bello e con tante promesse. Io esco di scena, ma solo dalla scuola. Ho preso questa decisione anche per voi, perché in futuro non viviate quel mondo nuovo ma terribile raccontato da un altro grande scrittore, l’immenso Aldous Huxley.

Vedete, ragazzi, la Costituzione dovrebbe essere la poesia della nazione. La nostra, poi, dicono sia la più bella di tutte. Ma allora io vi pongo una domanda: cosa fareste se qualcuno calpestasse una vostra poesia, magari una di quelle straordinarie che compongono il vostro “Verbo acerbo”?

Ecco, oggi hanno oltraggiato la nostra Costituzione, deprivandola di quel fondamento primo che la incardina sul lavoro, sulla poeticissima fatica quotidiana che rende l’uomo libero e felice. Ma io a tutto questo non ci sto. Lotterò con la mia penna e con la disubbidienza civile. Da domani io non avrò più voce con voi. Ad altri sarà ancora concessa. Ad altri sarà accordato di parlare e dire che ho torto, che la mia visione delle cose è quella di un complottista. Potranno dire che ho le traveggole. Asseriranno che sono un visionario. E a tutto ciò io non avrò la possibilità di ribattere.

Allora facciamo così: ascoltate il mio silenzio! Me lo hanno imposto. È il silenzio coatto che parlerà in mia vece. Ma voi, vi prego, non abituatevi alle distanze che vi impongono, ai sorrisi nascosti dietro le mascherine, ai lasciapassare che vi renderanno servi. E non abituatevi alla mia assenza. Ma rimpiangetela ogni giorno come un torto recato a voi stessi.

Ci hanno interdetto, fra le altre cose, di continuare il nostro bellissimo viaggio attraverso la Divina Commedia. Ma dunque, se fino ad ora mi avete considerato come il vostro Virgilio, lasciate che vi assegni un ultimo compito. Svolgiamolo assieme. Alle 19 di questa sera sediamo su un bel divano, ognuno nella propria casa, prendiamo una copia della Divina Commedia e apriamola al Canto V del Purgatorio: versi 13-15. Lo farò anch’io. E se presterete orecchio al silenzio, sentirete un singolare intreccio di energie. Ci incontreremo in un mondo più bello e incoercibile: quello dell’immaginazione, che tutto può quando tutto vuole. Alla fine non vi resterà altro che riflettere su quella potente terzina. Per tutta la vita.

Resto il vostro insegnante e nessuno potrà mai impedirmelo.
Buon lavoro, meravigliosi ragazzi miei.

Il vostro professore Alessandro Macchia”.



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