Addio a Massimo Troisi, non ci resta che (rim)piangere

Dodici ore dopo aver terminato le riprese del film “Il Postino” Massimo Troisi morì nel sonno, in casa della sorella Annamaria, a soli 41 anni. Era 4 giugno 1994

Sembra ieri e, invece, sono trascorsi anni dalla morte di Massimo Troisi. Tanto tempo è passato, ma nessuno è riuscito ancora a colmare il vuoto che ha lasciato l’artista, uno dei pochi in grado di strapparti un sorriso sincero con quel mix unico e irripetibile di comicità e malinconia. E come spesso accade per ogni grande personaggio destinato a rimanere nella storia se n’è andato in silenzio, nella notte, a sole dodici ore dalla fine delle riprese del suo film più ambizioso «Il Postino».

Non ha neppure fatto in tempo a vedere con i suoi occhi come quell’umile postino da lui magistralmente interpretato sia riuscito a conquistare una miriade di riconoscimenti e il plauso unanime della critica e del pubblico. Un capolavoro dei sentimenti diventato il suo saluto al mondo, il più commovente degli addii.

Lui, il ragazzo di San Giorgio a Cremano, alle porte di Napoli, umile e quasi inconsapevole del suo valore, come accade solo ai migliori, era abituato ad andare a braccetto con la “morte” – fin da piccolo aveva lottato con la febbre reumatica che gli aveva provocato uno scompenso cardiaco alla valvola mitralica – ma quel 4 giugno 1994, nonostante tutto, nessuno avrebbe mai immaginato che la morte avrebbe bussato alla porta della casa di sua sorella Annamaria, a Ostia, dove aveva trovato rifugio dopo le fatiche del set. Se n’è andato in silenzio, nel cuore della notte, stroncato da un attacco cardiaco, a soli 41anni. Una sceneggiatura già scritta a cui non avremmo mai voluto assistere.

Un cuore debole ci ha privati di un talento

Mentre si trovava a Los Angeles per ultimare la sceneggiatura del film con il regista Michael Radford, Troisi era tornato all’Ospedale di Houston, dove era stato operato al cuore da ragazzo, ma le notizie dei medici non erano state incoraggianti. L’operazione d’urgenza – le valvole al titanio che permettevano al cuore di funzionare si erano deteriorate – e l’attacco cardiaco lo avevano provato. Salvato in extremis, l’unica speranza per il “Postino” era un trapianto al cuore, ma Toisi voleva girare la pellicola con Philippe Noiret nei panni del poeta Pablo Neruda, rifugiato politico in Italia. Dopo undici settimane di riprese, non senza difficoltà per le condizioni di salute dell’attore, l’ultimo ciak. L’ultimo.

Chi era Massimo Troisi?

Schivo, diffidente, introverso, gentile e mai sopra le righe: un artista di raro talento. Chi lo ha conosciuto lo ricorda così. Gli altri hanno imparato ad amarlo guardando i suoi film che dagli esordi all’ultimo capolavoro hanno segnato profondamente la storia del cinema italiano. Da «Ricomincio da tre» che venne proiettato nelle sale per quasi 600 giorni.

Un successo inaspettato, clamoroso, incontenibile. Quel film rappresentava un po’ la “parabola di Massimo”, la storia di una scelta, la scelta di non fare quel che è stato deciso da altri. Il padre di Gaetano (il protagonista) gli impone di  “fare il geometra”, lui invece parte. Anche massimo era partito, alla ricerca di una fortuna che forse gli era già stata predestinata. O ancora grazie alle pellicole «Pensavo fosse amore, invece era un calesse»  e «Non ci resta che piangere» che scrisse e diresse con Roberto Benigni: 15 miliardi di incassi e battute culto entrate nel linguaggio quotidiano di giovani di ieri e oggi (da “Ricordati che devi morire…. mo’ me lo segno proprio”, a “Ma nove per nove farà ottantuno?”). La sua carriera era continuata con «Le vie del Signore sono finite», con «Che ora è?» di Ettore Scola accanto a Marcello Mastroianni.

Non è facile riassumere 41anni di vita di un’artista che è riuscito ad essere se stesso dietro e davanti alla macchina da presa. 41 anni di vita di un napoletano doc che da una casa piccola e sovraffollata, da condividere con cinque fratelli, due genitori, due nonni e cinque nipoti era riuscito a conquistare il mondo intero.

«Morto un Troisi se ne fa un altro», ma non è stato così. Un altro Massimo non c’è. Se n’è andato troppo presto forse e a noi, «non ci resta che piangere» anche a distanza di tanti anni.



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