
Sono giorni duri quelli che stiamo vivendo, certamente giorni storici. Stiamo vivendo la peggior crisi sanitaria della storia d’Italia, il periodo più difficile dal secondo Dopoguerra ad oggi. Rinchiusi in casa, senza possibilità di uscita, in lotta contro un nemico invisibile e bastardo. In avanscoperta solo pochi, valenti, soldati: medici e infermieri, Forze dell’Ordine e Protezione Civile, cassieri e farmacisti.
Contro il virus del terzo millennio non possiamo usare baci e abbracci, non possiamo toccarci, nessuna pacca sulle spalle. Solo conforto a distanza, solo balconi tricolori, sono preghiere. E quando tutto questo sarà finito di noi si dirà qualcosa nei libri di storia. E ciò che si dirà è in questa poesia, scritta di getto, in uno dei tanti momenti di solitudine casalinga.
Di noi si dirà che abbiamo vissuto al tempo della terza guerra mondiale,
un conflitto che a differenza degli altri vide tutta l’umanità fare fronte comune contro lo stesso nemico.
Si dirà che bombe e cannoni risultarono inutili e che a combatterla
furono soldati in corsia armati solo di guanti, mascherine, microscopi e respiratori automatici.
Si dirà che il nostro invasore mise in discussione le nostre certezze,
il nostro crederci indistruttibili, facendoci invece aprire gli occhi sulla nostra fragilità,
sulla nostra precarietà, sul nostro essere fatti non più che di carne.
Si dirà che fummo costretti a una ritirata strategica
durante la quale dovemmo ripensare la nostra quotidianità,
in cui imparammo la nostalgia di un abbraccio
e riscoprimmo valori come patria e famiglia
tornando ad apprezzare il piacere dello stare a casa con le persone che amavamo,
di un’esistenza tranquilla fatta delle cose veramente essenziali,
disintossicata da quegli affanni e quella stessa velocità
che permise a chi ci aggredì di coglierci impreparati.
Si dirà che i governanti e gli Stati
finalmente compresero come la vita delle persone contasse più del far quadrare i conti,
che i vincoli finanziari non potevano più essere considerati la cura,
che la salute della gente era l’unico e il più importante investimento
verso cui indirizzare ogni agire politico.
Si dirà, che i caduti furono tanti come pure i disertori
ma che, dove abbondarono morte e tradimento,
sovrabbondarono abnegazione e senso di responsabilità.
Si dirà che ciascuno di noi fece la sua parte
anche per chi non la fece..
perché si potesse dire.
Al mio Paese e al mondo intero,
Luca Nigro.