Otranto, regolare il dehor accanto alle mura di cinta. Consiglio di Stato dà ragione a un ristoratore

Il montaggio della struttura è stato causa di una disputa tra Soprintendenza, Comune Idruntino e l’imprenditore. Accolto il ricorso dell’avvocato Mauro Finocchito.

Ancora una vittoria, questa volta di un imprenditore di Otranto, nei confronti della Soprintendenza nella vicenda dei dehors dei bar e ristoranti della “Città dei Martiri” e questa volta l’affermazione ha un significato particolare, perché inerente quello che è stato in qualche modo il dehor simbolo tra tutti: quello del ristorante-pizzeria La Bella Idrusa, realizzato in conformità al regolamento comunale dell’Arredo Urbano e installato due anni fa accanto alle mura di cinta della città antica, nello spiazzo antistante il locale pubblico sulla sinistra di Porta Terra, varco principale d’ingresso nel centro storico località rivierasca.

I fatti

Il montaggio della struttura scatenò l’ennesima disputa tra Comune e Soprintendenza, con in mezzo il proprietario. Con la Soprintendenza che, dopo aver omesso l’emissione del proprio parere nei termini di legge, aveva impugnato dinanzi al Tar di Lecce l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune ritenendo il dehor deturpante.

A questo punto il Tar accoglieva il ricorso della Soprintendenza e il Consiglio di Stato, invece, su istanza dell’Avvocato Mauro Finocchito, incaricato dalla società proprietaria del ristorante, otteneva dal Consiglio di Stato la sospensione degli effetti della sentenza del Tar. Ciononostante la Procura della Repubblica aveva disposto il sequestro della struttura e rifiutato di dissequestrarla anche dopo la sospensiva del Consiglio di Stato, sul presupposto che, pur in presenza di titoli edilizi e paesaggistici formalmente validi, l’autorizzazione per l’occupazione di suolo pubblico fosse frattanto scaduta, sebbene il proprietario del ristorante avesse dimostrato di avere tempestivamente presentato istanza di rinnovo e avesse rivendicato con forza l’ingiustizia di fare ricadere su di lui i ritardi dei funzionari comunali deputati alla firma del rinnovo.

Si era quindi creata una situazione molto caotica per uscire fuori dalla quale il proprietario era stato costretto a smontare la struttura per poter continuare a esercitare l’attività di somministrazione all’esterno, che altrimenti sarebbe rimasta bloccata. Anche perché, nel frattempo, il Consiglio di Stato giungeva alla decisione di merito e confermava l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica disposta dal Tar Lecce. E ciò sul presupposto dell’omessa considerazione del vincolo culturale, diverso rispetto a quello paesaggistico.

Ma nonostante la pronuncia il proprietario del ristorante ed il suo difensore non si sono arresi, ravvisando nella sentenza del Consiglio di Stato un vizio di extrapetizione, ricorrente quando il Giudice amministrativo annulli sulla base di ragioni diverse da quelle poste dal ricorrente e quindi dalla Soprintendenza, a base del ricorso al Tar; e per di più senza neppure dare alla difesa la possibilità di replicare sulla nuova questione. In tali casi il problema non è di semplice soluzione, perché il Consiglio di Stato è giudice amministrativo di ultimo grado e le sue sentenze non sono suscettibili di impugnazione se non in casi straordinari, tramite la cosiddetta revocazione, che il proprietario ha chiesto al proprio difensore di proporre.

Alla fine, con provvedimento emesso nei giorni scorsi, il Consiglio di Stato ha dato ragione alla proprietà e sospeso l’efficacia della sua stessa sentenza, affermando il diritto del proprietario de La Bella Idrusa a tenere il dehor installato.

“Il provvedimento del Consiglio di Stato è molto significativo – spiega l’Avvocato Finocchito – sia sotto il profilo giuridico sia sotto quello, per così dire, etico-pratico. Sotto il primo aspetto due sono i dati di maggior rilievo: uno è il passaggio in cui il dehor viene definito struttura ‘amovibile’ dal giudice amministrativo romano, superando così gli equivoci generati dalla Soprintendenza, che ne pretende l’assoggettabilità alla disciplina paesaggistica dettata per le strutture stabili; l’altro è l’avere il Consiglio di Stato sospeso l’efficacia esecutiva della sua stessa sentenza, evento processuale questo rarissimo nella giurisprudenza dei giudici di Palazzo Spada.

Anche sotto l’aspetto etico-pratico i profili di rilievo sono due: la considerazione preminente data dal Consiglio di Stato alla necessità di consentire appieno l’espletamento dell’attività economica, tanto più ‘nel periodo dell’emergenza epidemiologica’ – come testualmente sottolineato nel provvedimento – e l’invito fatto alle ‘parti di trovare una soluzione compatibile col rispetto degli interessi storico-artistici del luogo’, con richiamo evidente anche alla Soprintendenza ad adoperarsi per un compromesso, posto che, in caso contrario, essa rischia di dover subire per chissà quanto tempo la presenza di una struttura dalla stessa ritenuta poco compatibile col contorno storico monumentale della città: vedremo se almeno con un invito così autorevole la Soprintendenza accetterà l’idea che tali situazioni vadano gestite tramite accordi – conclude il legale – pur nel giusto e preminente rilievo da assegnare alla tutela delle notevoli bellezze storico-architettoniche della città”.



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