
Le grandi famiglie sono spesso attraversate da grandi tragedie in uno strano “gioco del destino” che molto dà e altrettanto leva, quasi fosse una sorta di macabra compensazione. Anche una delle dinastie più illustri, potenti e invidiate d’Italia ha conosciuto questo tipo di “maledizione”. Se sia una leggenda o semplicemente una triste coincidenza, nessuno può saperlo. Come i Kennedy oltreoceano, anche la famiglia Agnelli, tra potere, ricchezza, fama, bellezza e fortuna, ha dovuto fare i conti, nel corso della loro ‘splendida’ vita, con il dolore, con l’ombra della sciagura sempre in agguato, come quella inaspettatamente calata sulla famiglia più ammirata d’Italia, in una grigia e fredda giornata d’autunno.
La vita fragile di Edoardo Agnelli
Era il 15 novembre 2000, quando il corpo di Edoardo Agnelli, l’unico figlio maschio del presidente onorario della Fiat Gianni, venne trovato sul greto dello Stura, alla base del 35° pilone del viadotto «Generale Franco Romano» lungo l’autostrada A6 Torino–Savona. Era precipitato dal punto più alto del ponte, un volo di circa 80 metri. O, quasi sicuramente, si era gettato. Qualcuno tra le cascine e i viottoli fangosi sulla sponda del torrente aveva notato il cadavere dell’erede raffinato e malinconico e aveva immediatamente chiamato la polizia. Il ritrovamento della patente e di alcuni documenti bastò a fugare qualsiasi dubbio.
È stato il senatore a vita, accompagnato dal questore di Torino, a riconoscere il corpo del figlio. Chi ha assistito alla scena, da lontano, ha raccontato di aver visto la testa bianca dell’Avvocato avvicinarsi lentamente al luogo dove il corpo era stato coperto da un telo bianco. Si dice che non abbia pianto quando hanno sollevato il lenzuolo. Solo poche parole, pronunciate con il dolore e la compostezza di un padre che aveva appena perso il figlio. Pare che Agnelli abbia solo chiesto al magistrato la cortesia di una procedura rapida, perché il corpo potesse essere portato quanto prima a casa.
La morte del giovane rampollo, fragile e infelice, schivo e riservato, resta ancora oggi avvolta dal mistero. Su quella scelta estrema di togliersi la vita è stato detto e scritto di tutto. Per anni sono circolate voci drammatiche, mai sopite o smentite del tutto, che parlano di omicidio, di una vendetta preparata nei minimi dettagli, addirittura di un complotto sionista.
Secondo alcuni Edoardo, nel 1974, si era convertito all’Islam, adesione che avrebbe sicuramente avuto delle conseguenze sul futuro dell’azienda e del patrimonio che lui avrebbe dovuto guidare. «Se qualcuno mi venisse a dire che Edoardo non si è ucciso, ma fu ucciso sarei quasi sollevato perché significherebbe che non era così disperato da fare questo gesto» aveva affermato il cugino Lupo Rattazzi in uno speciale di «La storia siamo noi» condotto da Giovanni Minoli dal titolo l’ultimo volo.
Eppure, quella tragedia sembrava a tutti l’epilogo già scritto di un’esistenza triste e tormentata. La parola suicidio, sotto forma di ombra o ipotesi, compare sui lanci delle agenzie di stampa nel primo pomeriggio. Suicidio, questa la fine di un ragazzo di 46anni, sensibile ed intelligente, con un sorriso che, col passare degli anni, si era fatto sempre più incerto, un ragazzo che aveva un cognome pesante, ma che da erede designato era stato “escluso” per ben due volte dalla successione, considerato forse inadatto a guidare un impero di quelle dimensioni. Una quando il fondatore della Fiat aveva pensato di nominare il nipote Giovanni Alberto, detto Giovannino, scomparso prematuramente a soli 33 anni, stroncato da una rara forma di tumore all’intestino. Allora non disse nulla, quel gesto non fu considerato un’offesa. Ma quando, dopo la sua tragica morte, la famiglia scelse come continuatore il ragazzino John Elkann detto Yaki, primogenito degli otto figli che Margherita Agnelli, sorella di Edoardo, ha avuto da due mariti, per lui fu un affronto troppo grande da sopportare.
«Considero quella scelta – aveva dichiarato in un’intervista al Manifesto – uno sbaglio ed una caduta di stile. Decisa da una parte della mia famiglia, nonostante e contro le perplessità di mio padre… per riempire un posto». I giornali, pur sempre cauti quando si trattava di Fiat, raccolsero avidi le sue dichiarazioni che parlavano di un complotto.
Che sia stata questa la causa del suo malessere? Il giovane ha dovuto convivere, fino a quando ha retto, con il dolore di una vita vissuta alla continua ricerca del consenso degli altri, con la sensazione di non essere mai all’altezza delle aspettative di suo padre, della sua famiglia, del suo cognome. In fondo, ha dovuto sempre guardare da spettatore e mai da protagonista quel “potere” che riteneva suo ma che gli è stato sempre negato. O va ricercata nella depressione dovuta ad una dieta dimagrante che aveva appena cominciato? E per questo avrebbe deciso di farla finita.
La morte misteriosa del figlio dell’avvocato
Per gli inquirenti tutte le ipotesi sono possibili. La più probabile – anche dopo l’autopsia – resta quella del suicidio, ma nessuno lo dice ufficialmente. Qualcuno, però, non ha mai creduto a questa versione anche perché alcune circostanze poco chiare contribuiscono al alimentare le ipotesi più disparate.
Secondo le prime, sommarie, ricostruzioni di quella mattina, il 46enne che portava lo stesso nome del nonno, scomparso in un incidente aereo nel ’33, uscì da Villa Bona, l’abitazione a 300 metri dalla casa dei genitori, dove viveva da solo, quando da poco erano passate le 7.00 con indosso un cappotto di velluto grigio e dei pantaloni scuri. Sotto, la giacca del pigiama. Il primo interrogativo, rimasto senza risposta. Poi è salto sulla sua Fiat Croma grigio metallizzato e senza gli uomini della sua scorta che avevano l’ordine di sorvegliarlo 24 ore su 24, ha raggiunto il cavalcavia. Durante il tragitto, con il cellulare, avrebbe anche chiamato casa, per chiedere se andava tutto bene.
Una volta sul ponte, ha lasciato la Croma ferma sulla corsia d’emergenza con il motore acceso e il lampeggiante di destra in funzione, ha guardato senza paura quello spaventoso vuoto e si è buttato giù scavalcando un muro di cemento alto quasi un metro e mezzo, sormontato da una grossa sbarra metallica. Un tragico volo, senza testimoni in un tratto stradale che, come dimostrato nel libro di Giuseppe Puppo, edito da Koinè, dal titolo «Ottanta metri di mistero, la tragica morte di Edoardo Agnelli» registra il passaggio, a quell’ora, di almeno otto vetture al minuto.
Edoardo, in quel periodo, zoppicava e utilizzava il bastone. È probabile che abbia impiegato almeno due minuti per arrampicarsi sul parapetto dell’autostrada, aumentando le probabilità di essere visto. E invece niente.
Altro punto oscuro. Non ha lasciato nemmeno una lettera, un biglietto.
Sulle cause dell’accaduto, invece, fin da subito sembravano esserci pochi dubbi: sul corpo solo i segni di un volo spaventoso, nessuno di aggressione. Eppure alcuni dicono che fosse quasi intatto. E ancora le ferite, la posizione del corpo e lo stato degli abiti non compatibili con una caduta da un’altezza simile, e poi l’assenza di impronte digitali sulle portiere e a bordo della Croma, la sepoltura affrettata.
Era una persona “sensibile e fragile”, Edoardo Agnelli. Così lo ricorda chi lo ha conosciuto. La sua scelta di morire a 46 anni trova molte spiegazioni, ma tutte parziali. Sul quel viadotto, al km 44,800 sono rimaste molte domande a cui ancora non è stata data risposta.