«San Lorenzo, io lo so perché tanto/ di stelle per l’aria tranquilla/ arde e cade, perché sì gran pianto/ nel concavo cielo sfavilla». Studenti di tutte le generazioni hanno imparato a memoria la poesia di Giovanni Pascoli dedicata al padre ucciso il 10 agosto del 1867 in un’imboscata, mentre stava tornando a casa con il suo calesse. Una poesia di straordinaria bellezza sussurrata ogni anno in occasione della notte di San Lorenzo, ma le stelle cadenti per l’autore romagnolo sono un pianto silenzioso che solcano il cielo e raccontano di un dolore profondo.
Quella sera Ruggero Pascoli, amministratore della tenuta agricola La Torre dei principi Torlonia, incontrò sulla sua strada due sicari, appostati all’altezza di Savignano. Due volti che hanno messo fine alla sua vita con un colpo di fucile alla testa. La cavalla che guidava il calesse, la «cavallina storna / che portavi colui che non ritorna» dell’omonima poesia e unica testimone dell’omicidio, imbizzarrita e spaventata proseguì sola per un tratto, trasportando il corpo senza vita di Ruggero.
Nessuno ha mai saputo chi aveva sparato né chi aveva ordinato ai sicari di premere il grilletto. Un po’ per omertà, un po’ per paura di ritorsioni l’omicidio fu archiviato, dopo tre processi, come “commesso da ignoti”, ma la morte di Ruggero Pascoli avrebbe lasciato degli strascichi che finirono per distruggere la famiglia, costretta ad abbandonare la villa dei Torlonia per la casa materna di San Mauro che, qualche anno dopo, fu venduta a causa delle difficoltà economiche.
Caterina Vincenzi Alloccatelli, madre di Giovanni, appartenente ad una famiglia della piccola nobiltà rurale, sopravvisse solo per pochi mesi dopo la morte del marito, colpita da un attacco cardiaco. “Crepacuore” si diceva all’epoca. Poi toccò alla sorella Margherita e ai due fratelli Luigi e Giacomo.
Il trauma della perdita del padre segnò per sempre l’animo del poeta che, nel corso della sua vita, non ha mai smesso di cercare i responsabili della morte di suo padre. A lungo si pensò che Ruggero Pascoli sarebbe stato ucciso da chi voleva prendere il suo posto come amministratore del fondo Torlonia. E anche il figlio Giovanni, pur senza nominarlo, accusa il ricco possidente di Savignano di quella morte ingiusta.
Unica consolazione: il 10 agosto di ogni anno il poeta inviava a colui che riteneva l’assassino del padre, un biglietto listato a lutto, con la dicitura p.r. (per ricordare).
Un mistero ancora aperto
A distanza di oltre un secolo, il delitto Pascoli continua a suscitare interesse e dibattito. Nuove teorie e nuovi documenti emergono periodicamente, alimentando la curiosità degli studiosi e degli appassionati. Il mistero che avvolge questo tragico evento contribuisce a rendere la figura di Giovanni Pascoli ancora più affascinante e complessa.
X agosto
San Lorenzo, Io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.
Ora è là come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido
portava due bambole in dono…
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!