‘Affaire’ case popolari. Parla l’uomo che denunciò il sistema: “Altre minacce di morte”

Il testimone chiave Piero Scatigna ha sottolineato che avrebbe ricevuto altre minacce, alcune ore prima dell’udienza, fissata inizialmente per il 13 maggio scorso.

Al via l’ascolto dei testimoni nel maxi processo sul presunto “Affaire” delle case popolari.

Dopo lo scorso rinvio disposto dai giudici della seconda sezione collegiale (Presidente Pietro Baffa) su istanza della difesa, l’udienza odierna si è svolta presso l’aula bunker di Borgo San Nicola e non più presso quella di Corte di Assise, ritenuta troppo piccola e inadeguata.

Oggi è stata la volta dell’uomo che fu pestato e minacciato di morte perché, stando alle carte dell’inchiesta, denunciò il sistema illegale di assegnazione degli appartamenti. Piero Scatigna è stato sentito dai pubblici ministeri Massimiliano Carducci e Roberta Licci, in qualità di teste della Procura, per oltre tre ore. Il testimone chiave ha anzitutto sottolineato che avrebbe ricevuto altre minacce alcuni prima dell’udienza fissata per il 13 maggio scorso

Il testimone chiave ha anzitutto ricostruito il sistema della presunta assegnazione illecita degli alloggi popolari,  sostenendo che i referenti del comitato degli occupanti abusivi, erano i politici Roberto Marti e Luca Pasqualini.

In seguito, ha riferito di avere ricevuto altre minacce, alcune ore prima dell’udienza fissata per il 13 maggio scorso, poi rinviata per i suddetti motivi. In particolare, qualcuno avrebbe detto alla sua ex moglie, che “lui” aveva il destino segnato.

Successivamente Scatigna ha ricostruito con dovizia di particolari, l’episodio che in passato lo avrebbe visto vittima di un violento pestaggio. Non solo, poiché dopo avere denunciato i fatti, sarebbe stato costretto ad abbandonare Lecce, per le continue minacce ricevute.

Andrea Santoro, Nicola Pinto ed Umberto Nicoletti (legato al Clan di Filippo Cerfeda) rispondono dell’ipotesi di reato di tentata violenza privata e lesioni aggravate dal metodo mafioso, in concorso con Giuseppe Nicoletti e Raffaele Guido. Secondo l’accusa, gli imputati avrebbero anzitutto cercato con minacce, di far ritirare la denuncia nei confronti di Raffale Guido, in relazione alla “illecita e privatistica gestione degli immobili ERP”.

L’episodio più grave, però, sarebbe stata l’imboscata tesa al “grande accusatore”, nel giugno del 2015. In che modo? Fissandogli un appuntamento a Giorgilorio presso la casa di Giuseppe Nicoletti (padre di Umberto) e colpendolo brutalmente, cagionandogli un trauma cranico e facciale, additandolo ripetutamente come “infame”.

Il gip, nell’ordinanza, ritiene però che le suddette condotte contestate dalla Procura, siano addebitabili soltanto ad Umberto Nicoletti, Nicola Pinto ed Andrea Santoro. I tre imputati sono assistiti dai legali Giuseppe Presicce, Giancarlo Dei Lazzaretti, Pantaleo Cannoletta, Ladislao Massari, Viviana Labbruzzo.

Dopo le domande dei pubblici ministeri, si è svolto il controesame della difesa.

In particolare, gli sono state mosse da parte dei difensori, tra cui l’avvocato Umberto Leo, alcune obiezioni sulle modalità della denuncia. Infatti, l’uomo presentatosi in ospedale dopo la presunta aggressione, avrebbe sostenuto di essersi ferito a seguito di un incidente stradale. Solo successivamente, avrebbe, invece, dinanzi agli inquirenti, riferito di essere stato pestato per i suddetti motivi.

Piero Scatigna, occorre ricordare, si è anche già costituito parte civile nel processo, attraverso l’avvocato Angelo Terragno.
Nella prossima udienza, fissata per il 26 giugno, saranno sentiti altri importanti testimoni. Fra questi l’avvocato Sandra Zappatore, presidente di Arca Sud (ex Iacp). Doveva essere ascoltata nella giornata odierna, ma per il protrarsi dell’udienza, la sua deposizione è stata rinviata.

Oggi, intanto, i giudici hanno accolto l’istanza di revoca della misura interdittiva dai pubblici uffici, per Piera Perulli, Responsabile dell’Ufficio Casa che a partire da domani potrà rientrare al lavoro, dopo il parere favorevole della Procura. È assistita dall’avvocato Salvatore De Mitri.

Le accuse

I 36 imputati rispondono, a vario titolo ed in diversa misura, di associazione a delinquere, peculato, corruzione, corruzione elettorale, abuso d’ufficio, falso, occupazione abusiva, violenza privata e lesioni.

Dagli atti d’indagine emergerebbe l’esistenza di una vera e propria associazione a delinquere di cui Attilio Monosi sarebbe il capo promotore ed ideatore a dare “veste legale alle assegnazioni degli alloggi parcheggio di proprietà comunale”.

Monosi, all’epoca dei fatti Assessore all’edilizia residenziale, organizzava le illecite assegnazioni di immobili confiscati alla mafia ed assegnati al Comune di Lecce, in cambio di utilità elettorali con il supporto dei dirigenti dell’Ufficio Casa e di Pasquale Gorgoni, coordinatore dell’Ufficio patrimonio e di Giuseppe Naccarelli.

Luca Pasqualini, invece, comparirebbe, nelle vesti di interlocutore privilegiato con personaggi appartenenti alla criminalità organizzata, quali Pasquale Briganti, Mario Blago e Sergio Marti, soggetti dai quali, riceveva sostegno elettorale.

Vi e poi il ruolo di Antonio Torricelli, vicepresidente del Consiglio Comunale che forniva l’apporto indispensabile per la realizzazione di iniziative strumentali, quali l’approvazione del regolamento n. 40/13, che permetteva la creazione di una graduatoria parallela a quella ufficiale (nella regolamentazione delle case parcheggio), rafforzando il controllo del bacino elettorale.



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