
Erano passate settimane dalla strage di via Fani, quando il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse in un attentato che macchiò di sangue la strada del quartiere Monte Mario, ma le speranze di salvare il politico di Maglie non erano ancora state cancellate. Fino al comunicato numero nove firmato dai terroristi della stella a cinque punte che scrisse la parola fine. La prossima mossa sarebbe stata l’ultima.
Il comunicato n. 9
«Compagni, la battaglia iniziata il 16 marzo con la cattura di Aldo Moro è arrivata alla sua conclusione. Dopo l’interrogatorio ed il Processo Popolare al quale è stato sottoposto, il Presidente della Democrazia Cristiana è stato condannato a morte». Inizia con queste parole l’ultimo bollettino delle Brigate Rosse che chiude il drammatico capitolo della prigionia. L’unica, ultima, possibilità era quella di scarcerare 13 “Combattenti Comunisti” imprigionati. Era quella la strada, non ce n’erano altre praticabili. «Libertà in cambio della libertà». In caso contrario, il Tribunale del Popolo avrebbe emesso la sua sentenza. Verdetto scritto quel 5 maggio.
«In questi 51 giorni – si legge – la risposta della DC, del suo governo e dei complici che lo sostengono, è arrivata con tutta chiarezza, e più che con le parole e con le dichiarazioni ufficiali, l’ hanno data con i fatti, con la violenza controrivoluzionaria che la cricca al servizio dell’imperialismo ha scagliato contro il movimento proletario. La risposta della DC, del suo governo e dei complici che lo sostengono, sta nei rastrellamenti operati nei quartieri proletari ricalcando senza troppa fantasia lo stile delle non ancora dimenticate SS naziste nelle leggi speciali che rendono istituzionale e “legale” la tortura e gli assassinii dei sicari del regime negli arresti di centinaia di militanti comunisti (con la lurida collaborazione dei berlingueriani) con i quali si vorrebbe annientare la resistenza proletaria».
«In questi 51 giorni – continua il comunicato – la DC e il suo governo non sono riusciti a mascherare, neppure con tutto l’armamentario della controguerriglia psicologica, quello che la cattura, il processo e la condanna del Presidente della DC Aldo Moro, è stato nella realtà: una vittoria del Movimento Rivoluzionario, ed una cocente sconfitta delle forze imperialiste».
Per le BR, la proposta di uno scambio di prigionieri politici per il rilascio di Aldo Moro si era arenata per il «chiaro rifiuto della DC, del governo e dei complici che lo sostengono». Non c’era più niente da dire. Le parole erano finite, ora toccava alla armi. «Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato». Eseguendo… come si scoprirà, quel 5 maggio Moro era ancora vivo. Quattro giorni dopo, 9 maggio 1978, il suo corpo senza vita verrà ritrovato nel bagagliaio della Renault 4 rubata mesi prima e parcheggiata ‘strategicamente’ in via Caetani.
Era tutto vero, questa volta. Non c’era stato alcun sospiro di sollievo come quando fu diffuso il (falso) comunicato numero 7, ritrovato in un cestino dei rifiuti a Trastevere. Il volantino annunciava il «suicidio» di Aldo Moro e il luogo dove era stato nascosto il cadavere, il lago della Duchessa. Era il 18 aprile, lo stesso giorno della scoperta del covo di via Gradoli.
Questa volta, nel comunicato erano state scritte, nero su bianco, le ultime battute di una tragedia, che segnerà, in maniera inevitabile, la storia d’Italia.