Uno sparo che ha dato il via agli anni di piombo, l’omicidio di Alessandro Floris

L’omicidio di Alessandro Floris, addetto alla scorta degli stipendi dello Iacp, è considerato uno dei primi eventi degli Anni di Piombo. Era il 26 marzo 1971

Alessandro Floris era una brava persona: da tre anni faceva il fattorino dell’Istituto Autonomo delle Case Popolari. Anche quella mattina del 26 marzo 1971 stava semplicemente facendo il suo lavoro, quando trovò la morte per proteggere la borsa con gli stipendi dei dipendenti che una banda di periferia aveva provato a rubare.

Nessuno immaginava che quella tragedia, immortalata per caso negli scatti di uno studente universitario che fotografò il momento dell’omicidio con la sua Nikon nuova di zecca, sarebbe stato solo il punto di inizio, il primo tassello di una stagione che ha macchiato di sangue la storia d’Italia.

L’omicidio

1971, via Bernardo Castello. Quel 26 marzo era un venerdì come tanti. Il 31enne, addetto alla scorta durante la consegna degli stipendi, fu vittima di una maldestra rapina. Due militanti del “gruppo XXII ottobre” – come fu definito dai giornali ispirandosi alla data del timbro su un biglietto ferroviario ritrovato nella tasca della giacca di uno dei killer – afferrarono la borsa con il denaro, forse non immaginando che il giovane avrebbe resistito.

Floris, nonostante fosse stato colpito all’addome da un proiettile partito da una Smith and Wesson calibro 38, si aggrappò alla caviglia di uno dei due terroristi che, in sella ad una Lambretta rubata, si stavano guadagnando la via di fuga, stringendo tra le mani il bottino di 16 milioni di lire.

La fuga durò poco, almeno per Mario Rossi che fu arrestato dai Carabinieri che si erano messi sulle loro tracce, inseguendo il motorino. Oggi è una persona libera, dopo aver trascorso 31 anni in carcere.

Augusto Viel, dopo essersi dileguato cercando di travestirsi da donna, fu catturato grazie alle immagini diventate famose nella loro drammaticità e alle testimonianze dettagliate dei presenti. L’indignazione per l’assassinio di un impiegato che stava facendo il suo lavoro fu enorme, la collaborazione dei cittadini fu fondamentale per arrivare a una cattura in tempi record.

Caso chiuso? Non proprio…perché dietro a questa banda di rapinatori, apparentemente mal organizzata, si nascondevano intrecci con il terrorismo organizzato che si farà conoscere anno dopo anno, strage dopo strage.

La stagione di piombo

Non era solo una rapina, ma un autofinanziamento. La notte del 5 ottobre 1970, il Gruppo organizzò il sequestro di Sergio Gadolla, figlio di un industriale genovese attivo anche nel mondo dello sport. Un’idea nata leggendo un giornale che riportava la notizia del furto dell’automobile del ragazzo con il numero di targa, grazie al quale la XXII Ottobre riuscì a risalire all’indirizzo della famiglia e ad altre informazioni utili. Dal rapimento, i tupamaros della Val Bisagno, come venivano chiamati anche i membri dell’organizzazione, ricavarono 200 milioni.

Dopo la rapina e l’omicidio, il primo e fortunatamente l’ultimo, di un innocente che proteggeva le paghe di semplici impiegati, il gruppo si sfaldò. Una parte dei membri rimasti liberi aderì ai GAP, Gruppi d’Azione Partigiana dell’editore Giangiacomo Feltrinelli. Altri aderiranno alle Brigate Rosse.

Quando ci fu il sequestro del giudice Mario Sossi, come contropartita per liberazione del giudice, fu chiesta la liberazione di 8 membri del Gruppo XXII Ottobre: i “compagni” Mario Rossi, Giuseppe Battaglia, Augusto Viel, Rinaldo Fiorani, Silvio Malagoli, Cesare Maino, Gino Piccardo e Aldo De Scisciolo. Il procuratore della Repubblica di Genova, Francesco Coco, che si era opposto al mantenimento dell’impegno negoziato con le BR, verrà ucciso a Genova, l’8 giugno 1976, insieme a due uomini della scorta.

Anche in uno dei comunicati diffusi durante la prigionia di Aldo Moro, (il numero 8 del 24 aprile 1978), i terroristi chiesero la liberazione dei compagni, tra cui gli assassini di Floris.



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