L’omicidio di Annarella Bracci, la bambina dimenticata in fondo ad un pozzo

Primavalle, 18 Febbraio 1950. Anna Maria Bracci, Annarella per la gente del quartiere, scompare nel nulla. Verrà ritrovata due settimane dopo, morta, in fondo a un pozzo.

Anna Maria Bracci, chiamata affettuosamente Annarella, aveva 12 anni. Troppo pochi per essere la ‘donna’ che era diventata da quando il papà era andato via da casa dopo aver scoperto la relazione della moglie con un altro uomo, lasciando sulle sue piccole spalle il fardello di una famiglia problematica. Caricata di responsabilità, pesanti come macigni, aveva dovuto imparare presto a cavarsela da sola per compensare le mancanze di genitori.

La mamma Marta si era data alla strada, per poche lire si concedeva anche davanti agli occhi della figlia. Il fratello maggiore, Mariano era un ragazzo violento, ancor più da quando aveva perso una gamba per un tumore. I due più piccoli avevano seguito il padre Riziero che, stanco dei tradimenti della moglie, aveva fatto le valigie e aveva cambiato vita lontano da quella casa. Così, era toccato ad Annarella badare a tutti in quell’abitazione a Primavalle, un nugolo di case ‘di fortuna’, scantinati e fogne a cielo aperto.

Non era una zona per ragazzine, ma nella borgata alla periferia di Roma tutti conoscevano quel «poro angelo» che cercava di guadagnare qualcosa facendo piccole commissioni per i vicini. Per una commissione era uscita quella maledetta sera quando sparì nel nulla. Era il 18 febbraio 1950. Un giorno come tanti. Un sabato.

La scomparsa di Annarella Bracci

Olio e carbone. Stringendo tra le mani poche lire, Annarella era uscita per comprare il necessario per la cena sfidando il freddo e la paura del buio. Ma a casa la bambina non tornò mai. Per sei lunghi giorni nessuno si occupò della sua scomparsa. Una ragazzina sparita in una sperduta borgata di periferia non faceva notizia. Le ricerche vere e proprie cominciarono soltanto il 23 febbraio, dopo le proteste dei cittadini del quartiere, spaventati per la sorte di quella ragazzina dagli occhi dolci e tristi.

Cercarla non è stato facile per gli uomini in divisa. Nessuno aveva visto niente e la polizia brancola nel buio, fino al 3 marzo quando il corpo di Annarella fu trovato in un pozzo, così come aveva sognato il nonno paterno che intascò la ricompensa offerta da un ricco barone che aveva preso a cuore la storia della piccola.

Aveva il cranio fracassato, diverse ferite sul corpo, ma non aveva subito violenza sessuale. Eppure non aveva le mutandine che il fratello maggiore, Mariano, aveva consegnato agli agenti qualche giorno prima . Un orrore confermato dall’autopsia. Annarella, quando è stata gettata nella cisterna, era ancora viva. Probabilmente aveva lottato contro un tentativo di stupro, era riuscita a scappare dal proprio aggressore che, arrabbiato per il rifiuto, l’aveva colpita in testa, diverse volte, con un’arma mai trovata. Credendola morta, fu gettata in fondo al pozzo.

Una famiglia oscura

Le indagini, a quel punto, si concentrarono sulla famiglia Bracci. Sul nonno aveva trovato la tomba della nipote guidato dalla sua voce in sogno. Sul fratello, che aveva ritrovato le mutandine e sulla madre, che non si era data mai la pena di cercare sua figlia dal giorno della scomparsa. Nel mirino finisce un amante della madre, ma aveva un alibi, e la strada imboccata dagli uomini in divisa si conclude in un vicolo cieco.

Lionello, colpevole a ogni costo

La morte di Annarella non poteva essere archiviata senza un colpevole. Il mostro, per gli investigatori, era un certo Lionello, un amico di famiglia finito sotto i riflettori per un passato ricco di segnalazioni di ragazzine che avrebbe molestato. Fu una testimonianza a squarciare il buio delle indagini. Qualcuno raccontò di aver notato la bambina, seduta su un muretto, mentre mangiava castagne con Lionello che viveva nello scantinato del Palazzo della ragazzina con la moglie e i figli.

Il biondino, come lo chiamavano nel quartiere, messo sotto torchio per sette lunghissimi giorni confessa. Caso chiuso, ma non per la gente comune, convinta che Lionello fosse stato convinto a confessare a suon di botte e torture. E lui, forte del sostegno popolare, ritrattò, passando da mostro a martire. Fu assolto per ‘insufficienza di prove’, ma il suo nome sarebbe comparso spesso, L’ultima volta nel 1961 quando fu accusato di aver adescato un bambino sulla panchina davanti alla scuola. Viene condannato a 8 anni di carcere. Li sconterà, professandosi innocente e uscendo dal carcere ormai ombra di se stesso, per finire i suoi giorni guadagnandosi qualche soldo come parcheggiatore.

Conseguenze politiche

Dopo il primo processo, quanto avvenuto a Lionello che era stato fermato dalla polizia e tenuto in prigione per sette giorni, picchiato e ridotto in maniera tale da non essere riconosciuto dai familiari quando venne liberato, portò a modificare il codice di procedura in Italia. Prima del caso, il fermo di polizia giudiziaria, secondo quanto previsto dal Codice Rocco, poteva durare sette giorni senza l’obbligo di avvertire un avvocato; successivamente venne modificato in modo che potesse durare al massimo 48 ore con la notifica obbligatoria a un difensore dell’avvenuto arresto.

L’omicidio di Annarella che sconvolse Roma nel ’50 è finita nel dimenticatoio, tramandata come fosse una leggenda per spaventare i bambini. Ma l’orco cattivo storia non è mai stato trovato.



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