Provvedimento adottato senza gli elementi concreti, Consiglio Stato annulla l’interdittiva alla “Sorgente Srl”

I giudici di Palazzo Spada hanno dedotto che, sottoposta a verifiche, l’informativa manifesta un decisivo deficit argomentativo tale da non giustificare un intervento inibitorio.

consiglio-stato-palazzo-spada

Una importante sentenza in materia di interdittiva antimafia è stata pronunciata dal Consiglio di Stato (Sez. III, Pres. Lipari, Est. Pescatore) con la quale, in riforma di una sentenza del Tar di Lecce, ha annullato l’interdittiva emanata dal prefetto di Lecce nei confronti della società “Sorgente s.r.l.” con sede in Racale.

Il nucleo della motivazione dell’atto prefettizio era incentrato sul vincolo coniugale contratto alcuni anni or sono dalla proprietaria e amministratrice della società Maria Grazia Santantonio con una persona che, circa trent’anni fa, aveva riportato alcune condanne penali. Oltre a ciò veniva contestato che il marito della Santantonio, assunto come dipendente nell’azienda, fosse imparentato con una famiglia della zona espressione di ambienti malavitosi.

Sulla base di questi elementi di fatto, peraltro risalenti nel tempo, l’Amministrazione aveva espresso un giudizio di possibile collegamento della impresa con gli ambienti della criminalità organizzata, nota come “Sacra Corona Unita”.

Nell’impugnativa giurisdizionale la società ricorrente attraverso gli avvocati Pietro Quinto, Gianluigi Pellegrino, Italia Mendicini e Giovanni Colacurcio, quest’ultimo per conto del fratello della Dott.ssa Santantonio, hanno evidenziato la carenza motivazionale dell’interdittiva, fondata esclusivamente su una descrizione ambientale e su una presunzione di interferenza e condizionamento degli ambienti malavitosi nella gestione della azienda senza alcuna contestazione specifica nei riguardi della persona della Dott.ssa Santantonio, ma soprattutto senza alcun riscontro fattuale circa le modalità di svolgimento della attività imprenditoriale.

I legali hanno evidenziato e documentato che l’azienda ha come oggetto sociale prevalente lo svolgimento di servizi di pubblica assistenza socio-sanitaria, ricreativo-culturale, per anziani autosufficienti e non autosufficienti, nonché soggetti portatori di menomazioni fisiche e psicofisiche.

In particolare è stato evidenziato nel corso del giudizio che l’azienda annovera 264 dipendenti e 22 unità locali, di cui 15 nella provincia di Lecce e 7 in quella di Taranto. Nella interdittiva tra l’altro sono stati ignorati sia i cospicui e risalenti rapporti che la società intrattiene con le Pubbliche Amministrazioni, le organizzazioni sanitarie del territorio e l’Autorità Giudiziaria, per quanto concerne i servizi di riabilitazione psicosociale dei detenuti affidati dal Tribunale; sia i tratti di assoluta trasparenza e correttezza che hanno contraddistinto la gestione dell’attività di impresa sin dall’epoca del suo avvio nel 2007 al punto di aver conseguito il rilascio di due “liberatorie” prefettizie nel 2015 e nel 2016.

Il difetto motivazionale del provvedimento di interdittiva censurato dai legali ha riguardato in particolar modo l’assenza di qualsiasi contestazione circa la posizione giuridica dei dipendenti ma altresì la mancata considerazione che nel tempo il marito della Dott.ssa Santantonio non era stato più coinvolto in vicende di rilevanza penale a far tempo dalla data del matrimonio avvenuto nel 2009, così come non era stato contestato qualsivoglia rapporto dello stesso con i propri parenti di origine.

Per tutte queste considerazioni, il Consiglio di Stato ha dedotto che, sottoposta a verifiche, l’informativa impugnata manifesta un decisivo deficit argomentativo tale da non giustificare un intervento inibitorio di così inaspettato e grave momento su una realtà aziendale finora ritenuta solida, prospera e amministrativamente sana.

“L’importanza della sentenza del Consiglio di Stato, con una valenza a carattere nazionale – ha commentato l’Avv. Pietro Quinto – consiste nel fatto che, a fronte della generica formulazione della normativa, il Giudice amministrativo ha specificato i presupposti motivazionali per l’emanazione dell’interdittiva. In particolare, allorché si contestano agli amministratori delle società rapporti parentali con ambienti malavitosi, è necessario – afferma il Consiglio di Stato – che vengano indicati elementi concreti per poter ritenere che tali legami incidano effettivamente sulla gestione dell’impresa”.