L’attentato allo stadio Olimpico di Roma, il colpo di grazia (fallito) allo Stato

L’attentato allo stadio Olimpico, organizzato da Cosa Nostra, fallì per un malfunzionamento del telecomando. Se fosse riuscito, lo Stato sarebbe stato messo in ginocchio.

23 gennaio 1994. A Roma si respira aria di “festa” perché è domenica e perché i tifosi giallorossi hanno un appuntamento con il pallone. In quarantaquattromila si sono presentati allo stadio Olimpico, per la sfida di casa contro l’Udinese. Nessuno sa che, in viale dei Gladiatori, a pochi passi dall’impianto sportivo, dove i Carabinieri stavano controllando gli ingressi, era stata parcheggiata una Lancia Thema rubata in Sicilia e imbottita di tritolo che ‘qualcuno’ aveva l’ordine di far saltare in aria dopo la partita. Settecento chili di esplosivo e tondini di ferro per amplificare l’effetto distruttivo, racchiusi nei “parmigiani”, sacchi della spazzatura stretti da corde e nastro da pacchi.

Doveva essere la più sanguinosa strage di tutti i tempi, ma fortunatamente a cambiare la storia dell’attentato allo stadio Olimpico è stato il malfunzionamento del telecomando che avrebbe dovuto innescare l’ordigno al triplice fischio.

Doveva esplodere al passaggio del pullman dei militari dell’Arma impegnati in un servizio di ordine pubblico, ma in quel progetto criminale, studiato nei minimi particolari, qualcosa è andato storto, evitando una strage senza precedenti per numero di vittime. Un ‘difetto’ ha permesso di raccontare un’altra scena: Nessun buco nero colmo di morte e di dolore scavato nel cuore della città eterna, nessun ferito, nessun tifoso o passante terrorizzato, nessuna vita spezzata né famiglia distrutta.

L’attentato non è rimasto senza verità o almeno non è finito tra gli archivi dei tanti casi italiani irrisolti. Doveva essere l’ultimo attentato, un colpo di grazia allo Stato dopo altre ‘dimostrazioni di forza’ andate in scena lontano dai confini della Sicilia (Via dei Georgofili a Firenze, via Palestro a Milano, San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano a Roma), un modo di avere «il Paese nelle mani», raccontò un pentito. Qualcuno (collaboratori di giustizia di comprovata affidabilità) confidò che l’intento era un altro: che era un modo di chiudere un capitolo, quello delle stragi, prima di aprirne uno nuovo nella storia di Cosa Nostra.

Nel 1998, nella sentenza per le stragi del 1993, vengono riconosciuti esecutori materiali del fallito attentato allo Stadio Olimpico Cosimo Lo Nigro, Gaspare Spatuzza, u’tignusu, Francesco Giuliano, Luigi Giacalone, Salvatore Benigno, u’picciriddu, Pietro Carra, Antonio Scarano, grilletto calabrese di Cosa Nostra, Antonino Mangano e Salvatore Grigoli.



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