Caso Laforgia: dopo l’assoluzione, il pm chiede il processo d’appello

Nel processo con rito abbreviato, il Gup ha assolto Domenico Laforgia dall’accusa di abuso d’ufficio per la vicenda dei due brevetti affidati ad una società, della quale avrebbe fatto parte lo stesso ex Rettore. Il Pm, invece, aveva chiesto la condanna a due anni.

Dopo l'assoluzione nel processo in abbreviato dell'ex rettore dell'Università del Salento Domenico Laforgia,il pubblico ministero impugna la sentenza di primo grado e chiede che venga celebrato il processo di appello. Il Gup Antonia Martalò, nell'udienza del 16 aprile scorso, ha assolto l'ingegnere Laforgia con formula piena, "perché il fatto non sussiste". Invece, il PM Paola Guglielmi ha chiesto la condanna a 2 anni di reclusione per il 63enne di origini baresi, ma da tempo "trapiantato" a Lecce.

L'ex rettore dell'Università del Salento, difeso dai legali Michele Laforgia e Viola Messa, è stato, dunque, prosciolto dall'accusa di abuso d’ufficio. Adesso la "palla" passa ai giudici della Corte di Appello, che una volta valutata l'ammissibilità della richiesta del pm, dovrebbero procedere con la fissazione dell'udienza e la composizione del collegio giudicante.

L'inchiesta prese avvio, dopo alcuni esposti inviati in Procura per segnalare delle irregolarità in relazione a due brevetti affidati ad una società della quale avrebbe fatto parte lo stesso Rettore. Scattarono così le prime indagini, condotte dagli agenti della sezione di polizia giudiziaria e coordinate dal sostituto procuratore Paola Guglielmi. Successivamente, Domenico Laforgia venne rinviato a giudizio e scelse di essere processato con il rito abbreviato, per chiarire la vicenda delle due autorizzazioni rilasciate alla società “Laforgia Bruni &partner”, di cui l’ex rettore avrebbe fatto parte, fino a giugno di due anni fa con il 50 % delle quote.

Secondo la tesi dell'accusa, Laforgia si sarebbe dovuto astenere, anche per rispetto del "codice etico" dell'Università, al momento del voto nel Cda dell’Ateneo, anzitutto perché era il rettore (egli emise i due decreti che avviarono l'iter dei brevetti) e faceva parte del Consiglio di Amministrazione che autorizzò la “Laforgia Bruni & partner” (a cui apparteneva anche il figlio Maurizio), al deposito internazionale della domanda di brevetto. Nello specifico, sempre secondo l'accusa, le autorizzazioni riguardavano un primo progetto "Cella di graetzel con sistema di ricambio continuo del colorante organico e dell’elettrolita” inventato dallo stesso Domenico Laforgia; per farlo brevettare, l’Agenzia regionale per la tecnologia e l’innovazione (Arti) emise un pagamento di 7 mila e 450 euro; per il secondo, dal titolo “Sensore ottico per il monitoraggio delle caratteristiche del combustibile e del lubrificante in motori a combustione interna”, l’Arti liquidò altri 5.400 euro alla “Laforgia, Bruni & partner”, nonostante fossero stati valutati come "carenti di innovazione" dal Consiglio Nazionale delle Ricerche.

La difesa di Domenico Laforgia, rappresentata dagli avvocati Michele Laforgia e Viola Messa, ha invece sempre sostenuto, depositando in merito anche una corposa documentazione, che uno dei due brevetti è stato effettivamente rilasciato, mentre l'altro non è mai stato depositato e non ha pertanto ricevuto alcun finanziamento. Lo stesso ex rettore Laforgia ha sempre ribadito di non essere più socio della società ormai da tempo e di non aver mai favorito nessuno a lui vicino. 



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