Colpevole di omicidio o vittima di un errore giudiziario? La storia di Chico Forti

Chico Forti sta scontando una condanna all’ergastolo per un omicidio che sostiene di non aver mai commesso. È colpevole o vittima di un errore giudiziario? Ecco la sua storia

Prima del 1998 quella di Chico Forti era la storia di un uomo di successo, di un campione di vela e di windsurf, fra i primi al mondo a eseguire il salto mortale all’indietro con la tavola. Il «capitolo sportivo», scandito da un curriculum di tutto rispetto, dura fino a quando un incidente automobilistico lo ha costretto a scrivere la parola fine alla sua carriera agonistica. Era il 1987 quando, chiusa la parentesi con le gare, si trova a dover affrontare il primo cambiamento nella sua vita. Il secondo arriva nel 1990, quando vinse una grossa somma partecipando a Telemike, il celebre quitz condotto da Buongiorno. Con quel denaro, unito ai suoi risparmi, si trasferì negli Stati Uniti. A quel punto per Chico comincia un’altra pagina, quel del sogno americano. Alcuni azzeccati investimenti immobiliari gli permettono di accumulare una piccola fortuna e anche gli affari con la casa di produzione che aveva fondato vanno a gonfie vele.

L’omicidio di Dale Pike

Nel 1998 la ruota della fortuna smette di girare dalla sua parte. Anzi, la sua vita da sogno, simile alla sceneggiatura di un film hollywoodiano, si trasforma in un incubo. E il nome di Chico Forti finisce sulle prime pagine dei giornali, tra la cronaca nera. Tutto comincia quando posa gli occhi sul Pike Hotel di Ibiza, tempio sacro della movida nell’isola spagnola, di proprietà dell’imprenditore australiano Tony Pike e del figlio Dale, contrario alla vendita. Forti lo invita a Miami per cercare di convincerlo a chiudere l’affare.

In realtà la vendita di quell’albergo, ormai in rovina, era un «elefante bianco», una fregatura colossale. A causa dei debiti che aveva accumulato Pike aveva perso la proprietà, passata ad una società che lo controllava al 95%. Non solo, l’uomo a causa della sua malattia era stato interdetto, la sua firma non aveva alcun valore legale. Chico probabilmente aveva capito che non era un buon affare, ma una truffa.

Pike jr arriva il 15 febbraio del 1998 in aereo. Ad attenderlo c’è l’imprenditore italiano. Poche ore dopo, l’ereditiere viene trovato morto su un a spiaggia di Miami. Colpito alla testa con una calibro 22.

Interrogato dalla Polizia come principale sospettato, Forti nega di averlo incontrato allo scalo. Mente. Una dichiarazione falsa che peserà sul processo che termina con una condanna all’ergastolo. Colpevole «oltre ogni ragionevole dubbio» secondo la giuria popolare. Una sentenza che lascia molti punti interrogativi. Perché avrebbe dovuto uccidere l’imprenditore australiano? Quale è il movente? Perché quella pena senza tracce di Dna e impronte sul luogo del crimine?

Forti, in un secondo momento, racconta di aver lasciato Dale al parcheggio del Rusty Pellican, un lussioso ristorante, dove ad attenderlo c’era una Lexus bianca con a bordo un uomo ispanico, vesito elegantemente.

Il filo rosso con l’omicidio di Gianni Versace

È stato condannato per omicidio, ma Chico Forti si è sempre dichiarato innocente. Nel tempo sono state tante le teorie e le ricostruzioni per tentare di spiegare perché l’imprenditore italiano sia finito nei guai. Alcuni pensano ci sia un collegamento con «Il sorriso della Medusa», un documentario in cui si mette in dubbio la ricostruzione ufficiale del suicidio di Andrew Cunanan, il serial killer che uccise Gianni Versace. Con il suo vicino di casa Thomas Knott (che sarà un personaggio chiave) riesce ad acquisire i diritti della house boat, dove capisce che forse l’uomo è stato ammazzato altrove e trasportato nella casa galleggiante già morto. Forse non è nemmeno stato lui a togliere la vita allo stilista italiano. Affermazioni gravi.



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