La storia di Ciccio e Tore, morti nella «casa delle cento stanze»

Era il 25 febbraio 2008 quando i vigili del fuoco trovano per caso i corpi di Ciccio e Tore Pappalardi, i fratelli di Gravina scomparsi nel nulla.

La «casa delle cento stanze» è un casolare abbandonato nel centro storico di Gravina in Puglia che racconta di un passato aristocratico. Quel luogo, scelto dalla famiglia Pellicciari come dimora di campagna, potrebbe essere una location perfetta per un film con la sua aria misteriosa che odora di antico e i suoi segreti: pozzi, scalinate, cisterne e camere infestate dagli spiriti. È per cercare i fantasmi che i bambini si spingono dentro quelle mura diroccate, come se fosse un parco giochi a cielo aperto, noncuranti del pericolo. Giochi innocenti che si trasformano in tragedia come accaduto a Francesco e Salvatore Pappalardi, Ciccio e Torre, i fratellini scomparsi nel nulla e ritrovati senza vita, cinquecento giorni dopo, nella cisterna del vecchio casolare nobiliare, diventato una tomba. Un ritrovamento casuale.

Il piccolo Michele, per recuperare un pallone, era caduto nel pozzo della costruzione. Sono stati gli amichetti, con cui stava giocando a calcio, a chiedere aiuto. Ma quando i vigili del fuoco si sono calati nella cisterna usata per raccogliere l’acqua piovana per salvare il bambino, infreddolito e sotto choc, hanno scoperto due corpi coperti dal fango, uno vicino all’altro. Era quello che restava di Ciccio e Tore, spariti nel nulla, inghiottiti dal buio e dal silenzio. La maglietta arancione e i pantaloni bianchi, abiti che i due fratellini indossavano la sera della scomparsa, hanno cancellato i dubbi. Terminava così, in un dramma, il mistero cominciato poco dopo il tramonto del 5 giugno 2006.

Che cosa era accaduto in via della Consolazione? Era stato scritto di tutto per azzardare una ipotesi. Alla fine la verità era diversa da quella immaginata. Il padre assassino non era l’assassino, il giallo non era un giallo. Non c’era nessun orco cattivo, né un mostro, ma solo l’ombra di una tragedia che nessuno aveva capito.

La scomparsa di Ciccio e Tore

5 giugno 2006. Francesco e Salvatore Pappalardi, tredici e undici anni, escono a giocare poco prima del tramonto. Quando è ormai sera Filippo che, da tempo, vive con la nuova compagna, bussa alla porta del Commissariato per chiedere aiuto. Aveva chiamato la ex moglie, Rosa Carlucci – che si era rifatta una vita a Santeramo in Colle con il nuovo compagno – per sapere se i figli fossero con lei, ma Ciccio e Tore erano spariti nel nulla, come se fossero stati inghiottiti in un buco nero. Nessuno li aveva visti, nessuno sapeva che fine avessero fatto.

Il tempo passa e mentre le ricerche dei due bambini continuano, Filippo e Rosa cominciano ad accusarsi a vicenda, la loro vita privata diventa un libro aperto dove trovare, nascosto tra i rancori, la verità.

Le ombre, rese ancor più scure dalle voci di paese, fanno concentrare i sospetti su quella famiglia considerata “difficile”. Le indagini seguono la pista familiare. Così, passo dopo passo, il padre dei fratellini diventa l’assassino. Aveva mentito, o meglio non aveva spiegato perché aveva spento il cellulare per due ore la sera della scomparsa dei suoi figli. Proprio quando doveva cercarli, telefonare, chiedere, bussare ad ogni porta per trovarli, si chiude in silenzio.

Sequestro di persona, duplice omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela e occultamento di cadavere: l’autotrasportatore in una ditta di carburanti – accusato di aver “scaricato” i figli in fondo a quel pozzo profondo venti e più metri – finisce in Carcere. E ci resterà fino a quando nel vecchio casolare del seicento non sono stati trovati, per caso, i corpi dei due fratellini Erano lì, nella “casa delle cento stanze”, dove nessuno li aveva cercati.

La pista della disgrazia senza un lamento

È stata l’autopsia a cancellare tutti i dubbi: non avevano subito maltrattamenti, sui corpi dei fratellini non c’erano segni di violenza. Ciccio è morto per l’emorragia causata dalla caduta. Tore, sceso nel pozzo per aiutare il fratellino, lo ha vegliato per diverse ore. È morto nel sonno vinto dalla fame, dal freddo e dalla paura. I graffi sulle pareti, tentativo disperato di scalare quella prigione, parlano di una fine terribile. L’omicidio perfetto era stata una disgrazia. È questo il triste epilogo di una storia in cui la ricerca del colpevole, un colpevole “a tutti i costi”. ha preso il sopravvento sulla ricerca dei due ragazzini scomparsi.



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