Inchiesta sui lidi “esclusivi” di Otranto, svolte verifiche sull’erosione della costa

La Procura ha affidato ad un geologo una consulenza tecnica, sull’attuale “stato” del costone roccioso in località  “Cerra”. La prima indagine è sfociata nel sequestro dei tre lidi, “Twiga”, “La Dolce Riva” e “Salento Beach”.

L’inchiesta sui lidi “esclusivi” di Otranto procede anche su un binario parallelo. I pubblici ministeri Roberta Licci ed Elsa Valeria Mignone, nei mesi scorsi, hanno affidato ad un geologo, l’incarico di redigere una consulenza tecnica, sull’attuale “stato” del costone roccioso in località “Cerra”. La relazione conclusiva è stata depositata venerdì scorso.

Adesso, gli inquirenti dovranno verificare in base agli esiti della perizia, se ci sia una possibile correlazione tra l’erosione ed il crollo della falesia, in quel tratto di costa, e la realizzazione di stabilimenti balneari. .

La prima inchiesta avviata dal pubblico ministero Antonio Negro è sfociata nel sequestro dei tre lidi, “Twiga”, “La Dolce Riva” e “Salento Beach”, eseguiti dai carabinieri dell’ex Corpo Forestale dello Stato, guidati dal capitano Antonio Arnò.

Il sequestro preventivo del “Twiga”

Riguardo il Twiga, la vicenda è approdata per due volte dinanzi ai giudici del Tribunale del Riesame.

Nelle 22 pagine del provvedimento, il giudice estensore Antonio Gatto, affronta anch’egli le problematiche relative al crollo della falesia, affermando “appare certo che la società Cerra s.r.l., nell’agosto del 2015, abbia formulato una richiesta e l’Ufficio Tecnico del Comune di Otranto, il 5 maggio 2016, abbia rilasciato il relativo titolo abilitativo volto a realizzare due “accessi al mare” in un tratto di costa (antistante Masseria Cerra), in cui, per motivi di sicurezza e per tutelare la pubblica incolumità, era radicalmente preclusa la presenza umana, in tutte le sue possibili declinazioni (transito, sosta, balneazione, navigazione e ancoraggio)”.

Vengono poi citati gli accertamenti dei militari. Nel sopralluogo del 12/4/2017, il Corpo di Polizia Provinciale di Lecce rileva che il tratto di costa antistante il terreno in esame è “caratterizzato da crolli e smottamenti, lato est, che hanno interessato anche la proprietà privata”.

Il medesimo Corpo evidenzia, inoltre, che, nel corso di un successivo sopralluogo effettuato presso l’area in questione, veniva notata in alcuni tratti della costa “la presenza di tracce evidenti del fenomeno dell’erosione del costone roccioso sul mare, quali la presenza di massi di costone roccioso franati in mare e di terra rossa sul fronte del costone, ecc.” (annotazione di attività di indagine del 4/5/2017).

I predetti accertamenti, assai recenti, dimostrano, afferma il giudice Gatto, come il tratto di costa in questione non abbia certamente cessato di essere pericoloso per l’incolumità pubblica”, e aggiunge che “la creazione di un ‘accesso al mare’ nel caso di specie costituiva semplicemente il pretesto per realizzare il vero obiettivo, cioè l’edificazione di un vero e proprio stabilimento balneare altrimenti non consentito”.

Infine, il Riesame cita le considerazioni sviluppate dalla Soprintendenza leccese, che sottolinea la radicale “sproporzione” tra l’intervento assentito, in larga parte già realizzato, e le strutture e attrezzature (di minimo impatto urbanistico e paesaggistico) previste per la realizzazione di semplici “accessi al mare”.



In questo articolo: