Denis Bergamini non è riuscito a conquistare la popolarità sul rettangolo di gioco. Non ha mai spiccato il volo nell’Olimpo del calcio, non ha mai avuto il tempo di dimostrare in campo la sua bravura perché la sua carriera si è interrotta bruscamente al chilometro 401 della statale 106. Era il 18 novembre 1989 quando il corpo senza vita del talentuoso calciatore di un Cosenza ambizioso è stato ritrovato all’altezza di Roseto Capo Spulico.
Ufficialmente il centrocampista di Argenta si era lanciato sotto la ruota di un camion carico di mandarini. Un «suicidio» a cui nessuno, o almeno chi conosceva l’idolo rossoblu, non ha mai creduto. Quell’incidente, hanno sempre sostenuto, era solo una messinscena per nascondere altro.
Cosa sia accaduto realmente dopo il pomeriggio trascorso con i compagni al cinema Garden, un’abitudine per la squadra in ritiro prima di ogni partita casalinga, resta un mistero.
Le ultime ore di vita di Denis
Per i giocatori del Cosenza quel sabato pomeriggio d’autunno significa riposo. Prima di incontrare il Messina, la squadra si era concessa qualche ora di relax al cinema Garden, ma prima dell’inizio del film Donato, 27 anni compiuti da poco e un futuro tutto da scrivere, si era allontanato dopo aver ricevuto una telefonata che lo aveva turbato. Alle 17.30 la sua Maserati bianca viene fermata ad un posto di blocco, ma il controllo fu “sbrigativo” perché gli uomini in divisa cercavano una Opel, in fuga dopo una rapina. Insieme a lui, c’era una ragazza, Isabella. È stata lei a ricostruire, dopo la tragedia, gli ultimi minuti di vita del calciatore. La fuga da Cosenza, il viaggio fino a Taranto, per scappare all’estero, stanco, ha raccontato, dell’Italia e quel lancio sotto la ruota di un camion. Ma a Taranto non ci sono traghetti passeggeri e Denis non aveva soldi né una valigia. È stata lei a rassicurare il camionista dicendo: «Era il mio ragazzo, si è suicidato».
Il conducente racconterà di essersi accorto solo all’ultimo di quell’uomo biondo fermo sul ciglio della strada e di non avere potuto fare nulla per fermarsi. Finirà alla sbarra, con l’accusa di omicidio colposo, salvo poi essere assolto perché il fatto non sussiste. Il campione legato al periodo più glorioso della storia pallonara di Cosenza si era suicidato. L’unica sentenza era stata quella delle indagini: fu una morte cercata.
Cosa non torna nella morte di Bergamini
Il corpo di Denis, secondo la prima ricostruzione dell’accaduto, era stato trascinato dal mezzo pesante per almeno 60 metri, ma non raccontavano questo le ferite e neppure gli indumenti indossati dal calciatore. Le scarpe riconsegnate ai genitori erano perfettamente pulite. L’orologio, senza neanche un graffio, funzionava ancora. La catenina d’oro era integra. I vestiti sembravano usciti dalla tintoria, ma per la cronaca quel giorno pioveva a dirotto. Uno che viene trascinato sull’asfalto pieno di pozzanghere dovrebbe avere tutt’altro aspetto, almeno in teoria. Sul corpo di Bergamini, invece, non c’erano tracce di fango.
La famiglia non crede neanche un po’ a questa versione della storia: se i motivi che possono spingere qualcuno a togliersi la vita restano quasi sempre indecifrabili, Donato non ne aveva. Negli ultimi giorni sembrava di buonumore: scherzava, giocava negli spogliatoi, tanto che tagliò i calzini di tutti i compagni. Comportamenti che non combaciano granché con l’umore di qualcuno che vuole ammazzarsi. Non lo avrebbe fatto per amore, come si è detto, perché era stato lui a lasciare Isabella.
C’è anche un altro mistero. Due magazzinieri del Cosenza avevano promesso al padre di Denis di raccontargli la verità sulla morte del figlio, ma prima di farlo morirono in un incidente stradale sulla statale Jonica, a pochi metri dalla piazzola dove Donato aveva parcheggiato la Maserati per discutere con la ex fidanzata. Strane coincidenze.
Da suicidio per amore a delitto passionale
Ad un certo punto, la storia del calciatore che, secondo il verbale dei carabinieri, si era gettato tra le ruote di un camion non regge più. Non era stato un suicidio… e nemmeno un incidente stradale. Denis, che per amore della maglia aveva rimandato il trasferimento al Parma di Nevio Scala, era stato ucciso. Un delitto passionale, o d’onore, come si era sempre mormorato, ma ci vuole qualcosa in più di una chiacchiera di paese per incolpare qualcuno di un omicidio. Quel qualcuno sarebbe la ex fidanzata che lo avrebbe ammazzato, con l’aiuto della famiglia che aveva saputo di un aborto che l’aveva “disonorata”.
Bergamini, attirato in una trappola con una scusa, sarebbe stato soffocato e steso a bordo strada quando era già morto o in limine vitae, lì dove era passato per caso il camionista che lo ha investito perché “non se n’è nemmeno accorto”. Altro che “tuffo”. Una ipotesi confermata anche dall’autopsia. Nel 2017 la procura riesce a ottenere dal Gip qualcosa che non gli era stato mai concesso prima: la riesumazione del corpo di Bergamini. Il 27enne era stato prima stordito con del cloroformio o una sostanza simile, poi strangolato. L’esame con la glicoforina avrebbe rivelato questo.
Ed ecco ancora lei, Isabella, l’unica che ancora difende la tesi del suicidio di Denis. La ex è stata accusata di aver ucciso (o fatto uccidere) il fidanzato per gelosia. Un grande classico della cronaca nera. Il processo è ancora in corso, ma a distanza di anni resta solo una certezza: che le cose non sono andate come sono state raccontate in un primo momento.
E allora come è morto Denis Bergamini?