
Palermo. Quartiere Brancaccio. Un commando di Cosa Nostra “condanna” Don Giuseppe Pugliesi, il parroco del rione che con la sola arma del sorriso aveva deciso di ribellarsi ai boss. Aveva dato fastidio alla mafia strappando molti ragazzi alla criminalità organizzata. Aveva insegnato loro che esisteva un’altra strada, un’altra cultura, quella della legalità. E per questo la mafia aveva commissionato il suo omicidio dopo ripetute minacce di cui il prete non fece parola a nessuno. Era il 15 settembre 1993, il giorno del suo 56° compleanno.
Le lancette dell’orologio avevano da poco segnato le 22.45 quando Padre Pino fu ucciso a pochi passi dal portone di casa. Aveva appena parcheggiato la sua Fiat Uno in piazzale Anita Garibaldi, una traversa di Viale dei Picciotti. Era stato tutto il giorno in comune, per cercare di ottenere lo stabile di via Hazon, da tempo luogo di spaccio. Un edificio che voleva trasformare in scuola. Vicino all’ingresso ha sentito pronunciare il suo nome. Qualcuno lo aveva chiamato, secondo le ricostruzioni. E lui si era voltato.
Gaspare Spatuzza, soprannominato ‘u Tignusu’ (il calvo), uno dei più sanguinari boss di Cosa nostra, lo afferra per un braccio. “Padre, questa è una rapina” dice. Il sacerdote ha avuto solo il tempo di rispondere “me lo aspettavo“. Poi sorrise al suo assassino. Salvatore Grigoli, secondo la giustizia, spara vigliaccamente alle spalle. Uno o più colpi di pistola colpiscono il padre alla nuca. Una esecuzione che doveva sembrare una tragedia, una rapina finita male, non come un delitto di mafia.
Il primo a correre sulla scena del delitto fu un vicino di casa. Trovò il sacerdote con le braccia in croce, raccolte sul petto come in un’ultima preghiera silenziosa. La scomparsa del parroco di Brancaccio invece fece “rumore”. Ai funerali per le strade di Palermo parteciparono migliaia di persone.
Quando le indagini condussero a lui, Grigoli confessò 46 omicidi, compreso l’agguato a 3P come era chiamato dagli amici. Gaspare Spatuzza uomo-chiave nelle indagini sulle stragi del 1992 di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta, fu suo complice. I mandanti furono i capimafia Filippo e Giuseppe Graviano, condannati all’ergastolo.
Il 25 maggio 2013, davanti ad una folla di centomila fedeli, don Pino Puglisi, il primo martire della chiesa ucciso dalla mafia, fu proclamato beato.
Sulla sua tomba, nel cimitero di Sant’Orsola a Palermo, furono scolpite le parole del vangelo di Giovanni: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici».