L’omicidio di Elena Ceste…che non era stata rapita dagli alieni

Per la giustizia Michele Buoniconti è l’assassino di Elena Ceste, la mamma di Costigliole d’Asti scomparsa nel nulla il 24 gennaio 2014

In un canale di scolo vicino al fiume Tanaro, a pochi passi dai binari della ferrovia in disuso, si è concluso il giallo della scomparsa di Elena Ceste, moglie e madre di quattro figli, sparita nel nulla in una fredda mattina di inverno. C’era nebbia e aveva nevicato quel 24 gennaio 2014, quando sulla casalinga di Costigliole d’Asti è calato il silenzio. Aveva chiesto al marito – o almeno questo era stato il racconto di Michele Buoninconti – di portare i figli a scuola perché non si sentiva bene, ma al suo ritorno il vigile del fuoco non l’aveva più trovata. Preoccupato, aveva bussato alla porta della Caserma per dare il via alle ricerche.

I Carabinieri con l’aiuto dei volontari l’hanno cercata ovunque, persino all’estero. Una pista labile, ma seguita comunque con scrupolo per non lasciare nulla di intentato. Per lo stesso motivo, sono stati setacciati campi e boschi, svuotati i pozzi della zona, scandagliati metro per metro i corsi d’acqua. Lei invece era lì, ad appena un chilometro da casa.

Il mistero lungo nove mesi, tra segnalazioni e falsi allarmi, rivelazioni clamorose e silenzi inquietanti, si è concluso con il ritrovamento del corpo , ridotto ad uno scheletro o poco più. Era il 18 ottobre. A quel punto ne è cominciato un altro: quello sulla morte della mamma di quattro figli. Disgrazia? Malore? Ipotesi possibili, ma scartate fin da subito. La casalinga di Costigliole d’Asti, come raccontano le sue amiche, in quel periodo era scossa, turbata, confusa. Suicidio? Neanche questa tesi era da escludere del tutto: pare che la donna dovesse convivere con i sensi di colpa, sempre più pesanti, a causa di una relazione clandestina. Di certo non era stata portata via dalla Madonna né dagli alieni, come aveva dichiarato Buoninconti.

E se si trattasse di omicidio?

Il nome del Marito, Michele Buoniconti, vigile del fuoco in servizio ad Alba è comparso nel registro degli indagati. «Me lo aspettavo, speriamo che serva per cercare la verità», aveva detto ai carabinieri che di prima mattina avevano bussato alla porta di quella villetta dei misteri per notificargli l’avviso di garanzia. Ed è proprio sulla figura del marito che si sono accesi i riflettori.

Che cosa è accaduto quella mattina ad Elena quando Michele, come ha dichiarato a tv, giornali e inquirenti, ha accompagnato i figli a scuola, perché la moglie si sentiva poco bene? La donna aveva davvero una seconda vita fatta di relazioni extraconiugali e problemi confidati via Facebook? È davvero possibile che, in preda alla disperazione, si sia spogliata nuda nel cortile della villetta, che abbia ripiegato i vestiti, abbandonato gli occhiali che le erano indispensabili per compiere un gesto estremo?

I vestiti sono stata la prima ‘contraddizione’ in una storia che sembrava non avere un filo logico, che non ha mai convinto del tutto. Michele aveva consegnato ai Carabinieri abiti troppo puliti e profumati per essere stati abbandonati a terra.

Era solo una questione di giorni per conoscere la verità. Per la giustizia, la verità è che Elena “donna infedele che andava raddizzata” è stata uccisa dal marito che aveva scoperto il tradimento e non poteva sopportarlo. Anche nel paese di poco più di seimila anime le chiacchiere sulle presunte scappatelle della donna erano diventate insistenti. Elena sapeva di quei pettegolezzi, lo aveva confidato a un’amica: «Sono sulla bocca di tutti. Ho sbagliato» aveva detto. Si era anche confidata con il parroco del paese.

Non ha aiutato il “castello di menzogne e depistaggi” che l’uomo ha costruito dal giorno della scomparsa fino a quello del ritrovamento per sostenere la sua versione.

Michele Buoninconti è stato condannato in via definitiva. Incastrato dalle celle telefoniche, dal terriccio trovato sugli abiti e su una delle calze che Elena indossava la mattina della scomparsa, compatibile con quello della zona dove è stato ritrovato il cadavere, dai depistaggi, come il mistero del cane a cui Elena era affezionata, probabilmente dato via per evitare che trovasse la sua padrona.

Il vigile del fuoco era geloso e possessivo. Contava i soldi per la benzina dell’auto di sua moglie. Controllava i chilometri percorsi. Spesso teneva in tasca il telefono di Elena. Era successo anche 4 giorni prima dell’omicidio. Michele era andato a prendere i figli a scuola. Un amico della donna, che lo aveva visto, aveva pensato di poterle telefonare senza metterla in difficoltà. Ma il telefono è suonato nella tasca sbagliata. Per Michele Elena era una moglie da “raddrizzare” al punto da ucciderla.

Si dice che un omicidio cominci molto prima della morte della vittima. Avviene nella testa dell’assassino. Anche nel caso di Elena Ceste, è stato così: per la giustizia il colpevole è il marito, Michele.



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