8 giugno 1976. L’orologio aveva appena segnato le 13.38, quando il procuratore generale di Genova, Francesco Coco fu ucciso dalle Brigate Rosse con gli uomini della sua scorta, il poliziotto Giovanni Saponara e il carabiniere Antioco Deiana. La “colpa” del magistrato di Terralba era stata quella di essere considerato un ostacolo per le BR che avrebbero conquistato le prime pagine dei giornali firmando tanti omicidi “eccellenti”, tra cui quello dell’onorevole Aldo Moro.
Una storia tristemente nota, cominciata con il sangue del giudice che scrisse la sua condanna a morte quando si oppose, fermamente, alla liberazione degli otto detenuti del Gruppo XXII Ottobre in cambio della vita del collega e amico Mario Sossi, “il dottor manette” rapito il 18 aprile 1974.
“Farò il mio dovere sino in fondo”, disse in una telefonata con l’allora Presidente della Repubblica, Leone. Una fermezza che l’ “un arrogante voltafaccia” come lo aveva definito Renato Curcio, pagherà cara. Per i brigatisti, Coco è un morto che cammina.
L’omicidio
Due anni sono abbastanza per meditare la vendetta. Quella di Coco era una morte annunciata, persino da scritte comparse sui muri della città. Una punizione andata in scena a pochi passi dall’abitazione del magistrato, dove gli assassini lo freddarono a colpi di rivoltella e mitraglietta Skorpion, colpendolo alle spalle. Uno solo andò a vuoto.
Erano almeno cinque ad agire in quel caldo pomeriggio di giugno. E dopo aver ucciso il Procuratore Generale e due uomini della scorta, i suoi angeli custodi, fuggirono via, scomparendo indisturbati nei vicoli della città vecchia e dalla storia dato che, ancora oggi, non si conosce con certezza il nome di chi ha premuto il grilletto.
Qualcuno racconterà di aver visto due ‘sconosciuti’ fuggire in sella a una Vespa rossa che sarà ritrovata, qualche ora dopo, in via Napoli. Dell’altro membro del commando che aveva preso di mira il procuratore nessuno sa dire come si sia allontanato. Anche i due complici che avevano sparato a sangue freddo all’appuntato dei carabinieri seduto al posto di guida della Fiat 132 sono svaniti nel nulla.
La rivendicazione
Il giorno dopo l’inferno di fuoco che ha lasciato a terra tre morti, alcuni brigatisti (fra cui Prospero Gallinari e Renato Curcio), nell’aula torinese dove si stava svolgendo il processo contro il “nucleo storico” rivendicarono l’omicidio del magistrato, che lasciava moglie e tre figli piccoli Maria Giovanna, Daniela e Massimo. L’attentato a Coco doveva dimostrare che l’organizzazione non era stata sconfitta. Che, al contrario, era in grado di elevare il livello dello scontro.
Francesco Coco fu il primo magistrato a venir ucciso dalle Brigate Rosse. Ed è anche l’unico omicidio sul quale non è stata fatta luce. Sulla composizione del commando resta un velo di mistero.