Franco Califano, l’indimenticato poeta de Roma

Il 30 marzo 2013 se ne andava Franco Califano, poeta, cantautore, interprete. Sue alcune delle più belle canzoni della storia della musica italiana

Basta leggere un testo di una delle sue canzoni per capire che Franco Califano era molto di più di un autore capace di mettere nero su bianco brani indimenticabili, testi che sapevano essere disincantati e trasgressivi. Il Califfo parlava di emozioni, di sentimenti, raccontava spaccati di vita, di storie normali della gente, di borgata o dei quartieri alti.

Non c’è solo «Tutto il resto è noia», il racconto malinconico di un amore spento dalla routine e diventato uno dei suoi più grandi successi, «Minuetto», scritta in coppia con Dario Baldan Bembo per Mia Martini – “E vieni a casa mia, quando vuoi, nelle notti più che mai. Dormi qui, te ne vai, sono sempre fatti tuoi” – «La nevicata del ’56» con Carla Vistarini e Luigi Lopez, «Un grande amore e niente più», con cui Peppino di Capri vinse il Festival di Sanremo.

C’è «io nun piango» – «Io piango, quanno casco nello sguardo de’ ‘n cane vagabondo perché ce somigliamo in modo assurdo, semo due soli al monno» – «Roma Nuda», «E la chiamano estate», «Io per le strade di quartiere» e «un tempo piccolo», interpretata dai Tiromancino. Che queste canzoni piacciano o no, le parole le conosciamo tutti perché arrivano dritte al cuore.

Franco Califano è stato un poeta che ha “prestato” i suoi versi alla musica. Perché con la poesia che ce fai? E allora ecco i fotoromanzi, il cinema e le canzoni, intrecciati con la cronaca nera e la cronaca rosa. Lui che andava a letto cinque minuti dopo degli altri per avere cinque minuti in più da raccontare era tutto e il contrario di tutto: era un uomo che «è passato tra le fiamme senza ustionarsi, soffrendo con eleganza e dignità», era un viveur fin dai tempi della scuola che ha frequentato la sera, perché la mattina, reduce dalle serate, preferiva dormire. Era un latin lover (ha confidato di aver avuto più di mille donne), un tombeur de femmes dal fascino maledetto, spregiudicato e allo stesso tempo romantico, era un’anima sensibile, forse incompresa. Artista e personaggio, senza un confine.

Ne ha avute tante di storie da raccontare il Maestro, poeta maledetto e artista scomodo. Dall’arresto per possesso di stupefacenti, in un’inchiesta che tocca anche Walter Chiari al Carcere, accusato da alcuni pentiti di vendere la polvere bianca per conto del boss Raffaele Cutolo e del malavitoso milanese Francis Turatello. La stessa “brutta storia” che ha sbattuto sulle prime pagine dei giornali Enzo Tortora. Sarà assolto sempre, “perché il fatto non sussiste”.

Nato a Tripoli, anzi in volo, tra i sedili di un aereo che stava sorvolando l’Africa, il “Prévert di Trastevere“, “il Pasolini della canzone” è morto arresto cardiaco il 30 marzo 2013, nella sua villa di Acilia, quartiere periferico di Roma. Aveva 74 anni Tra le sue ultime volontà, quella di essere sepolto nel cimitero di Ardea vicino al fratello Guido, al nipote Fabrizio, morto di leucemia e alla nonna di Maristella. Sulla sua lapide, per sua richiesta, è stata apposta la frase “Non escludo il ritorno“, titolo dell’omonima canzone con cui prese parte al Festival di Sanremo 2005.

Sono passati 10 anni, ma come cantava in Roma nuda «Nessuno ce sta che ce po’ consola’ stasera».

ph. www.francocalifano.org



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