Giancarlo Siani, il giornalista “scomodo” ucciso dalla Camorra

Era il 23 settembre 1985, quando il giornalista Giancarlo Siani, una “penna scomoda”, venne ucciso mentre stava parcheggiando la sua Citroën Mehari verde a pochi passi da casa.

23 settembre 1985. Giancarlo Siani stava parcheggiano la Mehari verde davanti alla sua abitazione di via Vincenzo Romaniello, nel Vomero, quando fu ucciso da due uomini con dieci colpi di pistola: otto alla testa, tre in pieno petto. Lì, a pochi passi da piazza Leonardo, è stata scritta la condanna a morte decisa il 10 giugno del 1985, quando il giornalista del Mattino di Napoli pubblicò un articolo in cui accusava i Nuvoletta, affiliati ai Corleonesi di Totò Riina e i Bardellino, esponenti della “Nuova Famiglia” di Raffaele Cutolo, di voler “vendere” alla polizia il boss super latitante Valentino Gionta, pescivendolo che era riuscito a costruire un impero con il contrabbando di sigarette e il traffico di droga.

«La sua cattura – scrisse – potrebbe essere il prezzo pagato dai clan per mettere fine alla guerra». L’accusa di aver fatto una soffiata ai carabinieri in cambio di una tregua tra le famiglie, nemmeno tanto nascosta tra le righe del pezzo, era un’offesa troppo grande da sopportare. I fratelli Nuvoletta non potevano tollerare di fare la figura da “infami”. La risposta fu la decisione di uccidere la “penna scomoda”. Mettendo nero su bianco nomi e cognomi che, per la cultura dell’omertà, non bisognerebbe neppure pronunciare ad alta voce, dava fastidio.

L’omicidio

Siani aveva trascorso la giornata facendo la spola tra i vicoli di Torre Annunziata e il civico numero 65 di Via Chiatamone, sede de Il Mattino. Il suo ultimo pezzo era stato sui muschilli, moscerini che distribuiscono morte, i bambini utilizzati come corrieri della droga. Avrebbe voluto andare al concerto di Vasco Rossi, ma non era riuscito a trovare i biglietti per lo Stadio San Paolo. Così, stava tornando a casa, al volante della sua Citroen Mehari. L’orologio aveva da poco segnato le 21.40. Il giornalista stava parcheggiando l’auto, quando due uomini, a volto scoperto, si sono avvicinati all’abitacolo e hanno premuto il grilletto. Il cronista muore, ucciso da dieci colpi di pistola, una Beretta calibro 7.65, un’arma comune per confondere le acque, per allontanare i sospetti dalla camorra. Aveva compiuto 26 anni il 19 settembre, pochi giorni prima.

Si brancola nel buio

Molti testimoni oculari, mai neppure un identikit. Decine di sigarette fumate dai killer, ma non un Dna. Dopo l’omicidio, gli inquirenti brancolano nel buio: cercano il movente, cercano riscontri alle voci secondo le quali il cronista sarebbe stato eliminato per qualche oscura faccenda di carattere personale, ma tutte le piste sono sfociate nel nulla. La svolta arriverà molti anni dopo, grazie alle dichiarazioni di un nuovo collaboratore di giustizia, il cassiere del clan Gionta. Gli inquirenti lasciarono intendere di avere tra le mani una confessione dettagliata e il bluff funzionò: i camorristi, preoccupati, cominciano a confidare i loro timori e le intercettazioni li incastrarono.

Armando Del Core e Ciro Cappuccio, due guaglioni di poco più di vent’anni del Clan Nuvoletta di Marano sono accusati di essere gli esecutori materiali dell’omicidio. I mandanti dell’omicidio sono i boss Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante, ma l’ordine è arrivato direttamente dalla Sicilia, dallo “zio” Totò Riina.

La notizia della morte di Siani

La notizia della morte del cronista arrivò in redazione pochi minuti prima delle 10.00 di sera. Uno spazio era rimasto vuoto e un collega, nel consueto giro di nera chiese ad un poliziotto di turno al centro operativo della Questura se avesse delle informazioni per riempire le colonne, per completare la prima pagina, prima di andare in stampa. «Dottò, conoscete Siani?» chiese l’agente al report. L’edizione del 24 settembre dedica all’omicidio del 26enne solto tre colonne di spalla.

Qualcuno, ancora oggi, continua a chiedersi se sia possibile scrivere la parola fine sul caso Siani, se si sia arrivati alla verità sulla morte del giornalista. E in contrario perché mai la si voglia nascondere.



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