
Era il 5 maggio 2000, quando una lacrima rigò il volto di tanti, tantissimi italiani. A piangere per la scomparsa di Gino Bartali non era solo il mondo del ciclismo. Il campione della due ruote che aveva firmato alcune delle imprese sportive più belle si era spento nella sua casa in piazza Cardinale Elia Dalla Costa. Fermato a 86 anni da un attacco di cuore che aveva avuto il riguardo di arrivare in silenzio.
Quel giorno, insieme alla sua straordinaria carriera costellata di successi conquistati “brontolando” tanto da meritarsi il soprannome di Ginettaccio, uno dei tanti che gli si sono stati appiccicati addosso, insieme al film in bianco nero riavvolto per ricordare le sfide leali con il suo rivale di sempre, Fausto Coppi, fu ricordata la sua umanità, la gentilezza avuta lontano dai circuiti che lo hanno visto protagonista.
Gino che amava ripetere che «il bene si fa e non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca» in silenzio aveva “fatto”. Come quando, durante la Seconda guerra mondiale, aveva salvato quasi mille ebrei. Con la sua bicicletta trasportava i documenti falsi per far scappare i perseguitati. Per quel gesto, lo Yad Vashem, lo aveva nominato ‘Giusto tra le nazioni’, un riconoscimento per chi ha rischiato la vita per salvare quella anche di un solo ebreo durante le persecuzioni.
L’impresa al Tour che “salvò” l’Italia dalla guerra civile
Indimenticabile il Tour de France del 1948. Bartali è “troppo vecchio” per il giro. Ha trentaquattro anni e l’ultimo trionfo in Francia l’ha ottenuto dieci anni prima. In pochi lo considerano in grado di competere per la vittoria. Fu la sua impresa più grande. Bartali, alla fine, riesce a salire sul gradino più alto del podio parigino.
Una storia che si intreccia con la leggenda. Grazie alla vittoria del campione toscano, si dice, fu scongiurata una guerra civile. È il 14 luglio 1948, giorno dell’attentato a Palmiro Togliatti, ferito con quattro colpi di pistola a pochi passi dalla Camera mentre si trovava in compagnia di Nilde Iotti. Fu solo una scintilla. Il fuoco sarebbe divampato quando la notizia cominciò a fare il giro dell’Italia. Saranno ore scandite da scontri con le forze dell’ordine, assalti, manifestazioni ‘scandite’ da colpi di arma da fuoco. Sembra essere ad un passo dalla rivoluzione, evitata – secondo la credenza popolare – perché l’Italia si fermò ad ammirare le gesta del ciclista, che aveva scritto una pagina che rimarrà per sempre nei libri di storia dello sport italiano.
“Distratti” dalle gesta del ciclista il clima di tensione si allentò. È stato detto che fu anche il Presidente in persona Alcide De Gasperi, a chiedere a Gino di tornare in Italia con la maglia gialla. Un modo per placare gli animi bollenti. Secondo altri, fu una dichiarazione del leader del PCI, che invitava alla calma dal letto di ospedale, a salvare il Paese da uno scontro.
E pensare che Gino, che lasciava sempre tutti dietro, era stato sul punto di mollare tutto. Non per mancanza di coraggio, né di bravura, ma per un dolore, troppo forte da sopportare. Accadde quando Giulio, il fratello più piccolo, morì in un drammatico incidente stradale durante la Targa Chiari, gara valida per il campionato regionale dilettanti. Era stato investito da una Balilla nera, sbucata all’improvviso sotto la pioggia battente. La sofferenza e anche il senso di colpa per aver trascinato il fratello minore in uno sport faticoso e pericoloso, lo avevano quasi convinto ad abbandonare la carriera.
Indimenticabile è anche quella foto in cui passa una bottiglia di acqua al rivale di sempre, Fausto Coppi. Lo scatto del fotografo Carlo Martini, anche se ‘costruito’ è diventato il simbolo del fair-play nel mondo dello sport e nella vita.