L’omicidio ‘senza colpevoli’ di Giorgiana Masi, uccisa da un proiettile alla schiena

Quando muore colpita alla schiena da un proiettile calibro 22 sparato durante una manifestazione, Giorgiana Masi ha diciotto anni. È il 12 maggio 1977.

12 maggio 1977. A Roma era quasi buio alle 19.55 di quel giorno di primavera. In piazza Gioacchino Belli era in programma una manifestazione pacifica del Patito Radicale per ricordare la vittoria nel referendum sul divorzio, ma il corteo non era stato autorizzato. Il Governo aveva vietato di scendere in strada dopo gli scontri del 21 aprile che si erano conclusi con la morte di Settimio Passamonti. «Deve finire il tempo dei figli dei contadini meridionali uccisi dai figli della borghesia romana» disse l’allora Ministro dell’interno, Francesco Cossiga quando annunciò il provvedimento che proibiva per un mese le manifestazioni nella capitale.

Ma a Trastevere, quel giorno, c’erano migliaia di ragazzi, simpatizzanti della sinistra extraparlamentare, di Autonomia Operaia e di quello che verrà poi chiamato «Movimento del ‘77», ma anche gli uomini delle forze dell’ordine in assetto antisommossa per far rispettare il divieto.

In piazza con il fidanzato Gianfranco c’era anche Giorgiana Masi, studentessa del liceo scientifico Pasteur. «Non succederà nulla. È una giornata di festa. Canteremo e festeggeremo. Se accadono incidenti mi metto al sicuro» aveva detto alla mamma, rassicurandola, quando era uscita per partecipare al sit-in per raccogliere le firme per i referendum, ma a pochi passi da Ponte Garibaldi, in quella giornata scandita da tafferugli, lanci di bombe incendiarie e colpi di arma da fuoco, fu ferita alla schiena da un proiettile calibro 22, sparato da una mano rimasta ignota.

Quando Giorgiana Masi si accascia a terra, sulla strada del lungotevere romano, sono quasi le 8.00 di sera. Chi la soccorre pensa che sia inciampata, non si vede sangue. Lei sussurra solo «Oddio che male». Sono state le sue ultime parole. La studentessa era stata uccisa, non si saprà mai da chi. La corsa in ospedale su un’auto civetta sarà vana.

A quel punto le strade erano due: o la studentessa era stata colpita dal «fuoco amico», da colpi vaganti sparati da dimostranti o il proiettile era partito dalla pistola di un uomo delle forze dell’ordine infiltrato nel corteo, in borghese. Il poliziotto, immortalato nello scatto di un fotografo, finì sotto i riflettori, ma nel puzzle di quella calda giornata di maggio mancava l’ultima tessera.

L’inchiesta sulla morte di Giorgiana Masi fu chiusa il 9 maggio 1981. Il giudice istruttore scrisse: “Impossibilità a procedere poiché rimasti ignoti i responsabili del reato”.

Il giallo della pistola

La chiave per risolvere il giallo della studentessa era nella pistola. Era quella la prova regina, ma nessuna perizia diede un esito certo e/o positivo. Fu analizzata un’arma, una vecchia pistola arrugginita, avvolta in un berretto di lana, trovata casualmente in un’intercapedine del bagno del rettorato dell’Università La Sapienza, dopo l’omicidio di Marta Russo. La Beretta a canna corta era lì da tempo. Fu confrontata con il proiettile che aveva ucciso Giorgiana Masi, ma nulla. Niente come tutte le analisi sulle pistole calibro 22 trovate nei covi delle Brigate Rosse.

Nel 1997 Angelo Izzo, uno degli autori del massacro del Circeo, accusò il suo ex complice Andrea Ghira di aver sparato lui quel giorno del 1977, per “colpire una femminista” a caso. Le sue parole non troveranno conferma. E poi Ghira in quel periodo si era già arruolato nella legione straniera spagnola col nome di “Massimo Testa de Andrés”. Non solo non poteva essere a Roma, ma in Italia non tornò mai più.

Sergio Zavoli ha calcolato che in Italia durante gli anni di piombo morirono 428 persone. Sono pochissimi i casi in cui non è stato individuato un responsabile.



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