Giulio Regeni, la storia di un omicidio senza giustizia

Era il 3 febbraio 2016 quando il corpo senza vita del ricercatore friulano fu trovato in un fosso, vicino ad una prigione dei servizi segreti.

«Ho visto sul viso di mio figlio tutto il male del mondo». Con queste parole in cui trapela il dolore, ma anche la forza e la determinazione a cercare la verità, Paola ha raccontato la difficoltà a riconoscere il figlio, Giulio Regeni ritrovato senza vita in un fosso, a pochi passi da una prigione dei servizi segreti a Il Cairo, dove il ricercatore dell’Università di Cambridge si era trasferito per completare la tesi di dottorato sui sindacati indipendenti dei venditori di strada, un tema politico molto delicato in Egitto. «La punta del naso» è bastata a una mamma a far capire che quel corpo torturato barbaramente e ucciso senza pietà era quello del suo ragazzo.

I depistaggi

La morte di un 28enne, strappato via “troppo presto” è sempre dolorosa, ma quando è senza giustizia diventa straziante, lacerante. Giulio è stato ucciso due volte: dalle botte (è stato selvaggiamente picchiato) e dal castello di bugie che è stato costruito in questi anni di grotteschi depistaggi.

È stato un “incidente stradale”, anzi no… era stato un delitto passionale, l’omicidio era avvenuto per «motivi personali» legati a una presunta relazione omosessuale oppure era stato regolamento di conti per questioni di droga, di cui peraltro non faceva alcun consumo come avevano documentato gli esami tossicologici. Piste smentite dall’autopsia che non aveva suggerito il nome degli assassini, ma aveva raccontato tanto delle torture, lente, durate per giorni.

Un mese dopo, la “colpa” della morte del giovane friulano è caduta su banda di malviventi specializzata in rapimenti di stranieri, a scopo di estorsione. Lo dimostrerebbe il passaporto ritrovato nel covo di uno dei quattro criminali, uccisi in uno scontro a fuoco con la polizia. Ma la versione fa acqua da tutte le parti, troppe cose non tornavano: bastano pochi giorni per scoprire che il capo della banda il 25 gennaio 2016 si trovava a 100 chilometri dal luogo della scomparsa di Giulio. Una farsa, l’ennesima bugia che raccontava la storia di uno studente: un drogato, un omosessuale, uno spacciatore, una spia per conto della Gran Bretagna, uno sprovveduto che si era messo nei guai da solo. Nessuna di queste storie era la sua.

Depistaggi, omissioni, scontri diplomatici, fiumi di parole sono state scritte, ma manca sempre la risposta alla domanda più importante per una famiglia che non ha mai smesso di cercare la verità: chi ha ucciso Giulio Regeni?

La scomparsa

La “storia” di Giulio Regeni, su cui non è ancora stata scritta la parola fine, comincia il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario della rivoluzione che portò alla caduta di Hosni Mubarak. L’orologio aveva appena segnato le 19.41, quando il ricercatore friulano inviò un messaggio alla sua fidanzata ucraina per avvisarla che stava uscendo. Aveva un appuntamento con un amico, a piazza Tahir, la più importante della Capitale. Alle 19.58 il telefono aveva squillato a vuoto. Alle 20.02 risultava spento. Giulio era scomparso nel nulla, misteriosamente. Il primo tassello di un mistero ancora lontano dall’essere risolto è chiuso nel tragitto da casa sua, un appartamento all’ultimo piano di una palazzina a Dokki, alla fermata della metropolitana più vicina. Il secondo buco sono quei nove giorni trascorsi prima del ritrovamento “casuale” del corpo di Giulio, in un fosso lungo la strada del deserto alla periferia del Cairo quel “maledetto” 3 febbraio.

Il resto della storia è tutto un forse. Forse è stato scambiato per una spia, forse ha fatto le domande sbagliate (o giuste) alle persone sbagliate, forse ha acceso i riflettori su un tema delicato, forse fa parte di un disegno più grande che, a distanza di tanti anni, nessuno ha ancora capito.



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