11 aprile 1997. Era un venerdì come tanti fino alle 23.30, quando alla centrale dei Vigili del Fuoco giunse la prima, drammatica, chiamata che sconvolse Torino. Un passante segnalò ai caschi gialli un terribile incendio che stava divorando la Cappella del Guarini, costruita nel 1668 per custodire la Sacra Sindone, il lenzuolo che, secondo la tradizione, avvolse il corpo di Gesù deposto dalla croce.
Cominciò una lunga notte per la città, scandita dal lavoro delle squadre dei soccorritori consapevoli di dover affrontare una corsa contro il tempo. Il fuoco stava divorando un prezioso patrimonio di arte e di cultura. Ecco perché bisognava fermarlo ad ogni costo. Ogni minuto sarebbe stato prezioso per salvare il capolavoro del barocco, ma soprattutto uno dei più importanti simboli della Cristianità. Per fortuna la reliquia, che da sempre rappresenta un mistero, era stata trasferita il 24 febbraio 1993 al centro del coro della Cattedrale, protetta da una struttura di cristallo. Se quella notte infernale la Sindone fosse stata ancora conservata nell’altare progettato da Antonio Bertola, al centro della Cappella, sarebbe andata completamente distrutta.
Non era la prima volta. Il lenzuolo era già stato danneggiato dal fuoco, in un altro incendio, quello del 1532 a Chambéry, antica capitale del ducato. Rimediò diverse bruciature che verranno riparate dalla clarisse. Nella lunga notte di Torino, a minacciare il sudario più studiato e controverso al mondo era il calore o il crollo della cappella che avrebbe seppellito il telo di lino con il suo carico di domande e chi avrebbe tentato di portarlo in salvo. Il timore era più che fondato: la cupola disegnata da Guarino Guarini e devastata dal fuoco poteva cedere da un momento all’altro. Non andò così. La storia di quella notte fu diversa.
Il pompiere che ha salvato la Sindone
Quando tutto sembrava perduto, un Vigile del Fuoco si è lanciato tra le fiamme con una grossa mazza di ferro, rompendo la teca che proteggeva la reliquia e portandola al sicuro. La foto del pompiere che esce barcollando dal Duomo con la cassa d’argento fa in breve il giro del mondo. Mario, questo il suo nome, quella notte non era in servizio, ma quando notò dal balcone di casa il fumo che scuriva il cielo di Torino telefonò in caserma. “Brucia il Duomo”, gli dissero i colleghi. Aiutare i compagni, a quel punto, sembrava doveroso.
Il resto è cronaca di quella notte, la teca antisfondamento si frantuma sotto i possenti colpi dopo 15 interminabili minuti. L’orologio aveva da poco segnato l’1.15, quando la Sindone venne accolta dall’abbraccio della folla impietrita e incredula che aveva ‘invaso’ la piazza.
Questa è la storia dell’incendio che ha minacciato la reliquia, quella del telo di lino su cui è impressa l’immagine di un uomo flagellato, un perfetto «negativo», è un’altra. Ci sono mille domande e dubbi sull’autenticità, sugli interrogativi che nasconde. Di certo, può essere la più importante reliquia di Cristo esistente o uno dei più ingegnosi, dei più incredibilmente intelligenti prodotti mai realizzati dalla mente e dalle mani dell’uomo. O è l’uno o è l’altro, non c’è via di mezzo. Fede o scienza. Ma questa, come detto, è un’altra storia.
