Inchiesta case popolari, la giunta del Senato dice no alle intercettazioni di Marti con Monosi e Pasqualini

La Giunta delle immunità parlamentari ha stabilito che possono essere utilizzati quei sette messaggi intercorsi tra il senatore Roberto Marti ed il “collettore di voti”.

La Giunta delle immunità parlamentari del Senato dice no all’utilizzo delle intercettazioni del senatore Roberto Marti con gli ex assessori comunali Attilio Monosi e Luca Pasqualini, nell’ambito dello stralcio dell’inchiesta “case popolari”. Possono essere utilizzati, invece, quei sette messaggi intercorsi tra Marti ed il “collettore di voti”, Rosario Greco. Dunque solo quelle intercettazioni ritenute “fortuite e casuali”.

La Giunta, di fatto, ha ritenuto che le intercettazioni con i politici dovevano essere autorizzate preventivamente e che l’ascolto delle conversazioni tra Monosi o Pasqualini e il parlamentare Marti era pienamente prevedibile e non era casuale né fortuito.

La decisione della Giunta delle immunità parlamentari del Senato è arrivata al termine della seduta, dopo la votazione della proposta conclusiva, del relatore della Giunta, l’avvocato Meinhard Durnwalder, 45 anni, di Bolzano, tesoriere del gruppo per le Autonomie (Supp, Patt, Uv).

In mattinata, difatti, è proseguito l’esame della domanda di autorizzazione all’utilizzo di intercettazioni di conversazioni telefoniche del senatore, e sono intervenuti per dichiarazione di voto, i senatori Pietro Grasso e Michele Giarrusso. Si tratta di una decisione in linea, con quanto sostenuto dai difensori di Roberto Marti, gli avvocati Giuseppe e Pasquale Corleto, già nel corso della camera di Consiglio dinanzi al gip Giovanni Gallo

Ora la palla passa dunque all’Assemblea del Senato per il voto finale che non dovrebbe riservare sorprese.

Ricordiamo che, con una nota del 29 settembre scorso indirizzata alla Presidenza del Senato, il gip Giovanni Gallo pur prendendo atto della decisione, sosteneva che dovesse essere la Camera dei Deputati e non il Senato ad occuparsi della posizione di Marti, affermando: “la competenza a decidere su una istanza di autorizzazione alla utilizzazione delle intercettazioni deve essere propria della Camera alla quale apparteneva il parlamentare al momento della commissione dei fatti (e della avvenuta intercettazione)”.

Il Senatore della Lega Roberto Marti risponde delle accuse di tentato abuso di ufficio, falso ideologico aggravato e tentato peculato, in concorso con altri imputati “eccellenti”.

Dopo la chiusura dell’inchiesta Estia, la posizione di Roberto Marti risultava “stralciata”. Sotto la lente d’ingrandimento della Procura era finita la vicenda del pagamento dell’alloggio presso un B&B e poi l’assegnazione di un immobile confiscato alla mafia. Destinatario di questo “trattamento di favore” il fratello di un boss.

E sulla vicenda alleggia l’ombra della prescrizione, poiché son passati oltre 5 anni dai fatti contestati dalla Procura.

Occorre ricordare che, nei mesi scorsi, si sono svolte numerose sedute alla Camera per stabilire la competenza sul nodo intercettazioni. In precedenza, il gip Giovanni Gallo aveva accolto l’istanza della Procura chiedendo l’autorizzazione alla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera. All’epoca dei fatti, Marti era Deputato della Repubblica.

La richiesta riguardava non solo le intercettazioni confluite nell’ordinanza, ma anche altre otto, contenute nella richiesta di autorizzazione dei pubblici ministeri Massimiliano Carducci e Roberta Licci.

Il processo con gli altri imputati

Prosegue intanto dinanzi al giudice della seconda sezione collegiale, il processo “Estia” sulle presunte assegnazioni illecite di alloggi popolari, in cambio di voti.

Sul banco degli imputati compaiono, tra gli altri, gli ex assessori Attilio Monosi e Luca Pasqualini e l’ex vice presidente del consiglio comunale, Antonio Torricelli.



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