L’inchiesta ‘staffetta’ si conclude con il patteggiamento della pena di quasi tutti gli imputati

Il gup ha accolto l’istanza degli avvocati difensori e del pubblico ministero. Ricordiamo che il 2 novembre scorso vennero arrestate nove persone, mentre 23 presunti assuntori sono indagati per favoreggiamento

Il gup Antonia Martalò ha accolto l’istanza degli avvocati difensori e del pubblico ministero. Alessio Fortunato 33enne di Squinzano, già ristretto in carcere e un 32enne di Trepuzzi hanno patteggiato 2 anni e 10 mesi; Marco Rapanà, 29enne e Raffaele Rapanà 20 anni di Squinzano, 2 anni e 8 mesi; un 24enne di Squinzano e Fausto Poso, 32enne di Squinzano, 2 anni e 6 mesi. Essi sono assistiti dagli avvocati Stefano Prontera, Ladislao Massari e Andrea Starace.

Il 2 novembre scorso furono arrestate nove persone. Oltre ai suddetti imputati, anche Georgia Bagordo, 21enne di San Pietro Vernotico, incensurata e finita ai domiciliari perché all’ottavo mese di gravidanza; Fabrizio Mangeli, 48enne di Squinzano; Alberto Mangeli, detto “Roberto”, 50enne di Squinzano, nel frattempo deceduto.

Le ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state emesse dal gip Simona Panzera su richiesta del pubblico ministero Maria Rosaria Micucci ed ai nove arrestati venivano contestati, a vario titolo ed in diversa misura, i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico, detenzione ai fini dello spaccio di sostanze stupefacenti. Occorre però ricordare che il Tribunale del Riesame,  pur confermando la misura carceraria, ha successivamente riqualificato i reati, accogliendo la tesi difensiva dell’ipotesi lieve del “piccolo spaccio” ( in base alla quale gli imputati hanno patteggiato la pena).
Risultano indagate altre 23 persone, ritenute responsabili del reato di favoreggiamento. Si tratterebbe degli assuntori reticenti.

Secondo gli inquirenti, tutto ruotava intorno ad un cellulare che passava di mano in mano (non a caso l’inchiesta è denominata «staffetta»), tra i componenti di un gruppo criminale, capitanato da Alessio Fortunato, considerato vicino alla Sacra Corona Unita del clan Notaro. Il numero telefono, intestato ad un ignaro cittadino, serviva per ricevere le ordinazioni da chi voleva acquistare cocaina, a volte (ma più raramente) anche eroina. Chi riceveva l’ordine aveva il compito di smistare la richiesta agli spacciatori che, a loro volta, accontentavano le diverse esigenze.

Un sistema «a cascata», come lo ha definito il comandante del Reparto operativo, il colonnello Saverio Lombardi, messo in piedi dal sodalizio per soddisfare un numero impressionante di richieste, fino a cento al giorno, e coprire interamente il triangolo compreso tra Trepuzzi, Campi Salentina e Squinzano.

Un meccanismo semplice quanto ingegnoso quello architettato dal clan che riusciva a gestire la mole degli acquirenti memorizzandoli sulla rubrica con uno pseudonimo, utilizzando il numero di targa, richiamando una particolarità fisica o con un riferimento diretto o indiretto ad amici o conoscenti. In nessun caso, è stato utilizzato il vero nome degli assuntori. Nonostante l’apparente difficoltà nella gestione, tutte le richieste di cocaina sono state sempre soddisfatte. Merito anche di un altro stratagemma utilizzato: quello di “ruotare” anche le auto, per evitare controlli o destare sospetti al momento della consegna.

Alla scoperta si è arrivati quasi “per caso”. Si può dire che tutto sia nato dopo la rocambolesca fuga di Fabio Perrone dall’ospedale ‘Vito Fazzi di Lecce’. Tra le numerose intercettazioni telefoniche, finalizzate a trovare qualche indizio utile ai militari per scoprire il nascondiglio del fuggitivo Triglietta, gli investigatori hanno notato un’utenza telefonica che ricorreva spesso. Era il “cellulare di servizio” utilizzato, come detto, per gestire un vorticoso giro di spaccio.