9 settembre 1998. Le lancette dell’orologio avevano da poco segnato le 8.00, quando cominciò a circolare la notizia della morte di Lucio Battisti. Il cantautore, che con le sue intramontabili canzoni è stato in grado di toccare il cuore di diverse generazioni, era ricoverato in terapia intensiva al San Paolo di Milano. Nessun bollettino medico era stato diffuso per volere della famiglia durante la permanenza nella stanza numero 9 del reparto di medicina e anche il giorno della scomparsa dell’artista la moglie, Grazia Letizia Veronesi, aveva difeso il marito con l’ordine “nessun contatto né i cronisti né con i fan”.
Alcuni ammiratori, in una processione silenziosa, avevano lasciato un fiore fuori dall’ospedale, divisi tra il desiderio di salutare per l’ultima volta il cantante e quello di rispettare il suo volere di restare lontano dal pubblico, come aveva fatto negli ultimi anni. Niente foto, niente interviste, nessun concerto dopo la ‘separazione’ con il paroliere Mogol con cui aveva scritto alcune delle pagine più belle storia della musica italiana (si dice anche che abbia rifiutato la proposta di Gianni Agnelli che lo aveva invitato ad esibirsi al Teatro Regio di Torino in uno spettacolo sponsorizzato dalla FIAT, per 2 miliardi di lire).
Si spera nel funerale, ma la funzione a Molteno sarà a porte chiuse, riservata ad appena 20 persone. Un riserbo che non ha aiutato a chiarire le cause della morte del cantautore di Poggio Bustone, considerato uno dei più grandi artisti italiani di tutti i tempi.
La paura che fosse dimenticato
Brani come “Emozioni”, “Io vorrei”, “Un’avventura” sono diventati veri e propri inni, colonna sonora di momenti indimenticabili. La sua musica ha saputo toccare le corde più profonde dell’animo, regalando emozioni uniche e intense. L’Italia aveva perso una voce, ma Lucio Battisti aveva lasciato un patrimonio artistico inestimabile.
Patrimonio protetto dalla vedova, ferma sulle sue legittime posizioni, a volte in modo così “intransigente” che qualcuno l’ha soprannominata la Yōko Ono italiana. Anche lei, come moglie di John Lennon a cui molti hanno attribuito la responsabilità dello scioglimento dei Beatles, era stata accusata dai più di essere la causa dell’allontanamento del cantante da Mogol (che, pur evitando per scelta di parlare dell’argomento in un’occasione dichiarò: «Delle persone io dico bene, oppure taccio. […] In questo caso taccio») e dalla vita pubblica, della mancata pubblicazione del fantomatico album postumo e, addirittura, di gettare via i fiori depositati davanti alla tomba del marito.
La morte di Battisti aveva consegnato, come nella miglior tradizione del rock, una vedova che era diventata il capro espiatorio di comportamenti che il grande pubblico e i media hanno fatto fatica a capire e accettare. Ombretta Colli e Dori Ghezzi, vedove di Giorgio Gaber e Fabrizio De André, avevano fatto di tutto per promuovere la memoria dei mariti, tramite apposite fondazioni.
Nell’ambiente, del resto, era noto l’atteggiamento della donna, restia a condividere l’eredità artistica del marito. Nel 2005, ad esempio, aveva diffidato i Dik Dik dall’inserire, in un loro DVD, la canzone Vendo casa, che Battisti aveva scritto appositamente per loro nel 1971, accompagnando la diffida con le parole: «Ci sono in giro dei pezzenti che sfruttano mio marito, che ha fatto del bene a tutti… lasciatelo in pace». Nel 2008 aveva negato l’autorizzazione per l’apparizione di immagini di Battisti nella scenografia per il brano Buonanotte all’Italia in un concerto di Luciano Ligabue. Nello stesso anno aveva negato al comune di Poggio Bustone, luogo di nascita di Battisti, l’autorizzazione per la trasformazione in museo della casa di famiglia del cantante.
Lettera aperta a Grazia Letizia Veronese
«Da tempo ormai è noto nell’ambiente musicale, e non solo, il suo ostinato e reiterato rifiuto a concedere qualsiasi possibilità di celebrare, sviluppare, testimoniare, elaborare l’enorme eredità lasciata da suo marito. Legittimo, certo, ma non del tutto comprensibile. Non appena corre voce che qualcuno abbia intenzione di organizzare una manifestazione, un servizio giornalistico, un’intervista a terzi, un festival, una rilettura o quant’altro, lei o i suoi avvocati sono pronti a cercare di impedire in ogni modo possibile, quando è possibile, e per fortuna non sempre lo è, che si porti a termine l’impresa. Le canzoni di Battisti, fosse per Lei, dovrebbero scomparire, non essere cantate da altri, non raccontate, non esaltate come meritano. Vigilare è un conto, e ci rendiamo conto che non è semplicissimo, altro conto è impedire, per principio, di qualsiasi cosa si tratti» si legge in una lettera aperta pubblicata su Repubblica a firma di Gino Castaldo, giornalista e storico critico musicale.
La verità forse è più semplice. La ex segretaria del Clan di Celentano aveva vissuto per trent’anni accanto a un uomo che tutti sono concordi nel descrivere ”dal carattere non facile”, accettando il suo desiderio di rifiutare le regole di un mondo che a Lucio non piaceva. Battisti non tollerava più la folla, l’assedio dei fan, le richieste di autografi, l’invadenza di giornalisti e fotografi. A lui bastava che parlassero le sue canzoni.
E gli è rimasta accanto, fino agli ultimi istanti, proteggendo con caparbietà, la scelta di vivere lontano dai riflettori. E lo ha fatto anche dopo la sua morte.
Lucio Battisti, la voce che ha incantato generazioni, ci ha lasciati il 9 settembre 1998. La sua scomparsa ha segnato profondamente la musica italiana, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore dei suoi fan. Ma la sua musica, fatta di emozioni autentiche e melodie indimenticabili, continua a vivere, a tramandarsi di generazione in generazione.