‘Lucio ancora incapace di controllare l’aggressività’: la conferma della condanna per l’omicidio Noemi

La relatrice, nelle 43 pagine della sentenza di Appello, richiama, infatti, la condotta tenuta in carcere e l’aggressione ad un altro detenuto con un manubrio in ferro

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Persiste nell’imputato, una sostanziale incapacità di controllare l’aggressività“. È uno dei passaggi della sentenza di Appello, nei confronti di Lucio Marzo, condannato anche in secondo grado alla pena di 18 anni e 8 mesi, con il rito abbreviato.

La relatrice Alessandra Ferraro, nelle 43 pagine del provvedimento, richiama, infatti, la condotta tenuta in carcere. E cita un episodio del settembre dello scorso anno. Una colluttazione con un altro detenuto (nel carcere minorile di Quartucciu, n.d.r.) che il giovane di Montesardo aveva aggredito, tentando di colpirlo con un manubrio in ferro precedentemente sottratto in sala pesi, con il dichiarato intento di “punirlo”, per avere avuto comportamenti poco corretti nei suoi confronti. Episodio che gli è valsa l’applicazione della sanzione della esclusione dalle attività in comune. Un comportamento che comprova, sostiene il giudice, “la permanenza nel medesimo di tendenze antisociali e della propensione a concepire la violenza come naturale modalità relazionale”.

Le modalità del femminicidio

La relatrice si sofferma poi sulle modalità del femminicidio. “Il brutale omicidio della giovane Noemi Durini commesso con lucida premeditazione, costituisce la manifestazione estrema di una personalità orientata all’uso della violenza e della prevaricazione, concepite da Lucio Marzo, anche in conseguenza dell’interiorizzazione di vissuti educativi e familiari, quale usuale metodo di soluzione delle tensioni e dei conflitti“.

La dr.ssa Ferraro, ricostruisce anche la dinamica dell’efferato delitto avvenuto il 3 settembre del 2017 e spiega le ragioni che hanno spinto la Corte d’Appello in sezione promiscua [Presidente Maurizio Petrelli, a latere Laura Liguori] a confermare la condanna maturata in primo grado.

Le aggravanti

Secondo il giudice, si tratta di omicidio volontario, con le aggravanti di aver commesso il fatto con premeditazione, per motivi abietti e futili e di aver agito con crudeltà. Dunque, non possono essere accolti i motivi che hanno spinto la difesa di Lucio Marzo, rappresentata dall’avvocato Luigi Rella, a chiedere una nuova perizia psichiatrica “esplorativa” e in subordine la messa alla prova o le attenuanti generiche.

Riguardo questo primo punto, nella prima consulenza tecnica non sarebbero emersi profili psicopatologici tali da diminuire la capacità d’intendere e di volere di Lucio, al momento dei fatti.
Invece, la richiesta di messa alla prova non può essere accolta, perché non sarebbero emersi “segni tangibili e inequivocabili di una reale e profonda resipiscenza rispetto agli agiti criminali”.
Anzi, secondo la relatrice Ferraro, sarebbe emerso in Lucio “il radicamento e rafforzamento di una incrollabile intenzione omicidia”.

E poi c’è l’aggravante della crudeltà, “tenuto conto delle modalità della condotta omicida e della lenta agonia inflitta alla vittima, prima accoltellata, poi aggredita con colpi di pietra mentre giaceva per terra ed infine trascinata e sepolta sotto un cumulo di pietre mentre era ancora in vita”.

Infine, i giudici ritengono inammissibili le attenunanti generiche. Anzitutto, per i numerosi e gravi tentativi di inquinamento e depistaggio dell’indagine da parte del giovane omicida, culminate nell’accusa di persone ritenute estranee ai fatti. Non solo, poiché l’iniziale confessione del giovane di Montesardo sarebbe stata dettata da “un intento utilitaristico correlato ad un mero calcolo di convenienza processuale”.

Il giudice si sofferma, naturalmente, anche sul movente dell’omicidio. Un motivo abietto e futile. “Un mero pretesto per l’imputato per dare sfogo alla propria indole criminale e violenta, peraltro in più occasioni già manifestata in epoca precedente al delitto”.

La requisitoria del vice procuratore generale

Ricordiamo che anche il vice procuratore generale Salvatore Cosentino, come pubblica accusa, aveva invocato la conferma della condanna. Egli, nel corso della requisitoria, aveva parlato di una “lucida programmazione”. Lucio avrebbe tentato di “fingersi pazzo”, ma la follia sarebbe stata solo un pretesto per non assumersi le proprie responsabilità.
Una tesi a cui si sono “allineati” i legali delle parti offese. L’avvocato Mario Blandolino, difensore di mamma Imma e di Benedetta, sorella di Noemi e l’avvocato Francesco Zacheo, legale di papà Umberto.