
C’è un volto che è rimasto impresso nel cuore degli italiani. È quello di Marco Vannini, ucciso da un colpo di pistola sparato, secondo la giustizia, da Antonio Ciontoli, il padre di Martina, la fidanzata del ragazzo di Cerveteri. Da quella notte del 18 maggio 2015, quando il suo cuore ha smesso di battere, c’è un altro volto che abbiamo imparato a conoscere, quello di mamma Marina che con il marito Valerio si è battuta come una leonessa per conoscere la verità, per sapere cosa accadde realmente quella notte nella villetta di Ladispoli.
Davanti ad una vita spezzata a 20 anni, senza un perché, c’era una domanda che esigeva una risposta: Marco Vannini poteva essere salvato? Sì, diranno le perizie. Se solo fosse stato soccorso in tempo, se solo la famiglia Ciontoli non avesse cercato di nascondere tutto. Ma le bugie, una serie di menzogne, hanno condannato a morte un ragazzo che stava cercando di realizzare il suo sogno, quello che teneva chiuso in un cassetto: entrare a far parte delle Frecce Tricolori.
Un sogno che il ragazzo cerca di realizzare, impegnandosi. Alla maturità riesce ad ottenere un buon voto, quell’81 che gli permetterà di affrontare il test d’ingresso in Aeronautica. Poi studia per i test per il militare, quiz preparati mentre la fidanzata che cerca di scoraggiarlo, temendo forse che il futuro del giovane sia incompatibile con il suo.
La ricostruzione dell’omicidio
È una caldo giorno di maggio. Marco è a casa dei Ciontoli, come molte altre volte aveva fatto per stare con la fidanzata Martina. A fare di quella notte l’ultima della sua vita è un fragore, forte come ‘uno specchio che cade e si infrange in mille pezzi‘. Era il colpo di pistola, una Beretta calibro 9, che aveva colpito il ragazzo mentre, secondo la ricostruzione ufficiale, faceva il bagno. A sparare sarebbe stato Antonio Ciontoli. Un incidente, dice il sottufficiale della Marina Militare. Pensava che l’arma fosse scarica, ma era partito un colpo.
Il pettine
Passano 40 minuti, ma nessuno chiama i soccorsi. È Federico Ciontoli a fare la prima chiamata al 118. Parla di uno scherzo che ha ‘spaventato’ Marco, prima di passare il telefono alla madre che chiude dicendo che richiamerà in caso di bisogno. “Sta meglio, non è niente”, dice. Poco dopo la mezzanotte al 118 arriva un’altra telefonata: è Antonio Ciontoli. Racconta che Marco si è ferito con la punta di un pettine e che “aveva avuto un attacco di ansia”. In sottofondo si sentono i lamenti del ragazzo che implora basta. Marco urla. Sente il dolore farsi strada dentro. Chiede aiuto. Chiede di essere portato in ospedale. Neppure un cenno al colpo di pistola calibro 9 che aveva ferito in bagno il ventenne.
Quando arriva l’ambulanza è troppo tardi. E, cosa peggiore, non è attrezzata per i codici rossi. Tra telefonate, bugie e depistaggi, è passato troppo tempo. In 110 minuti il proiettile aveva avuto tutto il termo di perforare il polmone, arrivando al cuore. Marco muore quando l’orologio aveva da poco segnato le 3.00, dopo quasi un’ora di tentativi di rianimarlo sulla pista dell’elisoccorso di Ladispoli.
Ai microfoni di storie maledette, il programma di Franca Leosini, l’ex agente dei Servizi Segreti si è lamentato dell’inferno che sta passando da quando sulla sua testa è piovuta quella tragedia. Hanno dovuto lasciare Ladispoli, vivono nel completo anonimato in località diverse, per sfuggire all’odio della gente. “Quanto vale la vita umana”, chiede la giornalista, “beh l’ergastolo”, risponde Ciontoli. Aveva già presentato ricorso contro la pena di cinque anni che aveva incassato in appello.
È caduto dalle scale. È scivolato nella vasca. Si è fatto male con un pettine. È stata «una bolla d’aria formata nella pistola». Il colpo è partito dall’arma mentre cadeva a terra. Quante volte è stato ucciso Marco Vannini? Innumerevoli. E Valerio e Marina Vannini lo sanno. Da subito, capiscono che qualcosa non torna. E iniziano una battaglia lunga, faticosa, umanamente insopportabile, per ottenere giustizia.
Ci ha pensato la Cassazione a scrivere la parola fine con una sentenza che, come ha detto mamma Marina, non basta, anche se è stata fatta giustizia. Il perdono – ha commentato – passa attraverso la verità. E quella ancora manca.