Roma, 14 maggio 1993. Le lancette dell’orologio avevano appena segnato le 21.37 quando sulla capitale calò il silenzio, quello della paura. Dopo la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi con gli uomini della scorta nella strage di Capaci e di Via d’Amelio, il terrore si materializzò in via Fauro, dove un attentato firmato da Cosa Nostra – il primo organizzato fuori dalla Sicilia – doveva “mettere a tacere” Maurizio Costanzo, il giornalista e conduttore televisivo che nel suo seguitissimo show aveva osato “attaccare” gli «uomini d’onore», arrivando a invitare le loro donne a lasciarli.
Il messaggio era chiaro: la mafia poteva colpire chiunque si mettesse di traverso. Non erano solo i bersagli ad essere scelti con cura, anche gli attacchi era organizzati nei minimi dettagli perché fallire non era contemplato nel codice.
Anche l’attentato a Maurizio Costanzo era stato pianificato dai killer ‘volati’ dalla Sicilia a Roma per eseguire gli ordini. Tutto cominciò un anno prima, con un incontro, davanti alla Fontana di Trevi, per decidere quali sarebbero state le mosse da giocare in una partita in cui dovevano ‘morire’ il popolare conduttore, il ministro Martelli e Giovanni Falcone. Per giorni, seguirono gli spostamenti del giudice e del giornalista fino a quando fu chiaro che sparargli sarebbe stato molto complicato. Una bomba era più sicura, ma per quella seguiva l’autorizzazione dall’alto.
Il via libera non arrivò. Totò Riina decise di richiamare il gruppo di fuoco, tra cui c’era anche Matteo Messina Denaro. «Tornate indietro – disse – abbiamo trovato cose più grosse giù». Le «cose più grosse» erano le stragi di Capaci e via D’Amelio, più altri attentati non riusciti come quello al giudice Piero Grasso. Quando «U Curtu» fu arrestato, il cognato Leoluca Bagarella continuò sulla strada delle bombe. E la prima aveva già un nome scritto sopra.
L’attentato a Maurizio Costanzo
Per colpire fu usata una Fiat Uno rubata e imbottita con 100 chili di tritolo e nitroglicerina sistemati nel bagagliaio. L’auto fu parcheggiata in via Ruggero Fauro, la strada dei Parioli che il giornalista percorreva per tornare a casa. Era il 13 maggio, ma qualcosa andò storto nel telecomando non che avrebbe dovuto far scoppiare la bomba. 24 ore di tempo furono sufficienti per far funzionare tutto.
Quella sera andò tutto come previsto tranne una cosa: Maurizio Costanzo, l’uomo che « aveva rotto i co*****» aveva cambiato l’auto. Quando fu schiacciato il bottone davanti alla Alfa Romeo 164 ‘pedinata’, la Mercedes blu del conduttore e della scorta era già passata. Questione di secondi che hanno salvato la vita al giornalista, alla futura moglie Maria de Filippi e all’autista che riportò solo lievi ferite. Anche le guardie del corpo, a bordo della seconda auto, se la cavarono con poco.
Il «mezzo miracolo» come lo aveva definito spesso Costanzo era dovuto ad un cambio d’auto e ad un attimo di esitazione in più da parte del commando, che si aspettava la consueta Alfa Romeo 164 e fu costretto a verificare se fosse quella Mercedes la vettura da colpire. « Il mio autista – disse – mi aveva chiesto un giorno libero e l’avevo sostituito con un altro, che conosceva meno bene la strada. Esitò al momento di girare in via Fauro e questo confuse il killer che doveva azionare il detonatore. Sentimmo un botto pazzesco. Tra me e Maria passò un infisso».
Una storia raccontata tante volte da Costanzo, rimasto per sempre segnato da quell’attentato. In una intervista ha ricordato quel giorno come «il più brutto e il più bello della sua vita. Il bello è stato accorgerci che eravamo vivi».
Le altre stragi
Due settimane più tardi Cosa nostra colpirà a Firenze, in via dei Georgofili . Un programma di morte che doveva proseguire con l’attentato allo stadio Olimpico di Roma a gennaio ‘94, fallito e mai più ritentato dopo l’arresto dei fratelli Graviano a Milano, pochi giorni dopo.