“Abbiamo ucciso un bravo ragazzo”, la storia di Michele Fazio

Il 12 luglio 2001 Michele Fazio fu ucciso da una pallottola vagante a pochi passi dalla sua abitazione a Bari vecchia. Aveva 15 anni

Michele Fazio era un bravo ragazzo. Terminata la terza media aveva deciso di lasciare la scuola per aiutare la famiglia in difficoltà. Per la mamma era ancora un bambino, ma lui aveva capito che per i genitori arrivare a fine mese non era facile. Così per non essere un peso e per aiutarli a far quadrare i conti aveva deciso di andare a lavorare. La notte in cui ha perso la vita, ucciso da una pallottola vagante a pochi passi dalla sua abitazione a Bari vecchia, la storia di quel dedalo di viuzze in cui nessuno, dopo il tramonto, osava entrare, è cambiata per sempre.

La ricostruzione dell’omicidio

Michele, come tutti i ragazzi, aveva un sogno che aveva chiuso in un cassetto: voleva diventare un carabiniere, perché il bar dove lavorava era spesso frequentato dalle forze dell’ordine e lui, con l’ingenuità dei suoi 15 anni, si sentiva orgoglioso a servir loro il caffè. Quella sera d’estate, dopo il dovere, aveva trascorso la serata con gli amici, sul lungomare. Papà Pinuccio, spesso lontano dalla Puglia, lo aspettava a casa per una pizza, ma Michele viene freddato da un colpo di pistola alla nuca. Era capitato, per caso, nell’inferno di fuoco scoppiato per una vendetta tra clan. Scoppiato non è un termine usato a casa.

Molti, quella sera, scambiarono gli spari per fuochi d’artificio sparati spesso nel Quartiere. Quando il corpo di Michele fu trovato in una pozza di sangue in una di quelle vie strette e bellissime di Bari Vecchia, in tanti hanno pensato che il ragazzino si fosse trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma mamma Lella ha sempre risposto a questa affermazione, triste e malinconica, con una frase che racconta un dolore che non sarebbe passato mai. ‘Un figlio non può neppure tornare a casa dai genitori?’ ripeteva. Michele era nel posto giusto al momento giusto, era a casa sua. Nel posto sbagliato erano i suoi assassini.

Anche un componente del clan che quella notte avrebbe dovuto ammazzare uno qualunque del gruppo rivale urla “Abbiamo ammazzato un ragazzo buono”. Non “Abbiamo ammazzato il ragazzo sbagliato”, ma “Sim accis o uagnon bun”. Il killer lo sapeva bene perché era stato un compagno di scuola di Michele.

Pinuccio e Lella Fazio, dopo la morte del figlio, iniziato una battaglia contro l’omertà, per ‘ripulire’ e riscattate il quartiere: spalancano le finestre del loro balcone, quelle stesse finestre che fino a prima delle morte di Michele, restavano chiuse per paura, per non vedere e non dover parlare. I Fazio non hanno mai lasciato il quaetiere. I suoi fratelli hanno continuato a frequentare la la scuola insieme ai figli dei boss, ma da quel giorno non hanno mai smesso di raccontare la storia di Michele, un ragazzo buono che aveva la criminalità organizzata come “vicina di casa”.



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