Monica Vitti, il ricordo della regina del cinema italiano

Attrice di professione e mattatrice per vocazione. Monica Vitti è stata capace di interpretare molte donne, lasciando un segno indelebile nella storia del cinema italiano

Bella, bellissima…ma non era questo il biglietto da visita di Maria Luisa Ceciarelli, la regina del cinema italiano. Non era nemmeno la voce roca, né l’aria un po’ così, sognante, romantica e sensuale, ma il talento indiscusso che ha reso Monica Vitti la protagonista indiscussa della commedia, prima come “musa” drammatica e struggente di Michelangelo Antonioni, protagonista della sua tetralogia sull’incomunicabilità, poi come comica, soprattutto accanto al compagno di avventure Alberto Sordi.

Monica Vitti come aveva scelto di chiamarsi su suggerimento di Sergio Tofano, suo insegnante in Accademia, con il suo talento è riuscita ad interpretare molte donne, quella borghese e la popolana, quella malinconica e quella buffa.

Musa del cinema d’autore e mattatrice della commedia.

È stata la tormentata Claudia in L’avventura (1960), la tentatrice Valentina di La notte (1961), la misteriosa e scontenta Vittoria di L’eclisse (1962) con Alain Delon e la nevrotica Giuliana in Deserto rosso (1964). E ancora La ragazza con la pistola (1968), nel film di Mario Monicelli, in cui interpreta il ruolo di Assunta Patanè, una ragazza siciliana dalla lunga treccia nera che insegue fino in Scozia l’uomo che l’aveva “disonorata” con l’intento di vendicarsi, salvo poi capire che si può essere libere anche senza macchiarsi di un delitto. Diretta magistralmente dal registri del calibro di Ettore Scola, Dino Risi, Luigi Comencini, conquista il grande pubblico, donne comprese. Una carriera inimitabile

Nel 1988, il prestigioso quotidiano francese Le Monde commise una clamorosa gaffe. Pubblica, in prima pagina, la notizia della sua morte, “avvenuta per suicidio con barbiturici“. L’attrice, con grande eleganza e senso dell’umorismo, si limitò a smentire, ringraziando i giornalisti per averle allungato la vita. Le spedirono anche un mazzo di rose rosse, sperando di farsi perdonare per l’errore. Chissà le risate.

Il ritiro dalle scene e la malattia

Amata, amatissima, si allontanò dalle scene nel duemila, diventando una diva invisibile. Il 3 novembre avrebbe spento 91 candeline, ma se ne è andata in una fredda giornata di febbraio. Una malattia, la demenza da corpi di Lewy spesso confusa con l’Alzheimer, affrontata con discrezione, l’aveva portata lontano dai riflettori, accudita dal marito Roberto Russo, il fotografo di scena che aveva sposato in Campidoglio il 28 settembre 2000, dopo 27 anni di fidanzamento. Si erano conosciuti sul set di “Teresa la ladra” nel 1973. Lui aveva 36 anni, lei 51. Ma da allora non l’ha più lasciata.

Addio all’antidiva

Vent’anni di silenzio, protetta da un muro d’amore costruito per tenere lontano gli occhi indiscreti, non sono bastati ad affievolire il ricordo della protagonista del cinema, diventata il volto di un’epoca. Un anti-diva, perfettamente imperfetta come era, con il suo essere “naturale” con i suoi capelli ribelli, incapaci di stare a posto, gli occhiali, le collane di turchesi e gli orecchini di corallo che indossava con nonchalance con le giacche maschili, con quella risata. Ancora contagiosa.



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