Morte avvocato in ospedale. Condannata una dottoressa. Assolto un altro medico

L’avvocato Francesco Epifani, 76 anni è deceduto presso il “Vito Fazzi” di Lecce, il 7 luglio del 2015, dopo essere giunto in ospedale in condizioni gravi, a causa di una frattura dell’omero

Si conclude con la condanna il processo nei confronti di una dottoressa dell’ospedale “Vito Fazzi” accusata di omicidio colposo per la morte dell’avvocato civilista Francesco Epifani.

Nella giornata di oggi, il giudice monocratico Giovanna Piazzalunga ha inflitto 9 mesi di reclusione (pena sospesa) all’imputata. Non solo, poiché quest’ultima è stata condannata, “in solido” con l’Asl nelle vesti di responsabile civile, al risarcimento del danno complessivo di 50mila euro in favore della moglie e dei tre figli che si erano costituiti parte civile con l’avvocato Anna Grazia Maraschio. Anche due sorelle ed un fratello della vittima comparivano nel processo come parte civile (non è stato disposto il risarcimento) ed erano difesi dall’avvocato Gianfranco Gemma.

Il giudice ha invece assolto un medico del “Vito Fazzi” dall’accusa di omicidio colposo. Era assistito dall’avvocato Ladislao Massari. I due “camici bianchi” sono stati entrambi assolti dal reato di falso per presunte omissioni nella cartella clinica del paziente.

La dottoressa, difesa dall’avvocato Mario Coppola, potrà presentare ricorso in Appello, appena verranno depositate le motivazioni della sentenza (entro 90 giorni). Invece, in una scorsa udienza, il pm Alberto Santacatterina aveva chiesto l’assoluzione per i due medici anche per l’accusa di omicidio colposo.

L’avvocato Francesco Epifani, 76 anni, residente a Villa Convento (frazione di Novoli), è deceduto presso il “Vito Fazzi” di Lecce, il 7 luglio del 2015, dopo essere giunto in ospedale in condizioni gravi, a causa di una frattura dell’omero, presumibilmente dovuta ad una caduta. L’operazione chirurgica era stata programmata in quella data, ma il paziente morì prima di sottoporsi alla stessa. E inoltre, secondo la Procura, l’intervento non richiedeva carattere d’indifferibilità, ”stante il rischio di vita per il paziente”. Infine, veniva attribuito il tentativo fallito di inserimento del catetere venoso che avrebbe causato una lesione, non diagnosticata tempestivamente, attraverso una radiografia.

 

 

 

 



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