Nicola Calipari, l’eroe morto per salvare Giuliana Sgrena

Nicola Calipari muore, colpito dal “fuoco amico”, mentre sta scortando la giornalista Giuliana Sgrena all’aeroporto di Bagdad.

Mancavano meno di 700 metri alla pista dell’aeroporto di Bagdad, quando una raffica di proiettili frantumò i finestrini della Toyota Corolla di color grigio sulla quale stava viaggiando Giuliana Sgrena, l’inviata del Manifesto rapita dalla Jihad islamica e liberata quel 4 marzo 2005, diventato un giorno di dolore. Il compito di scortare la giornalista fino al volo che l’avrebbe riportata in Italia era stato affidato al generale di divisione Nicola Calipari – capo dell’intelligence italiana in Iraq – che era riuscito, dopo una delicata trattativa, a farsi consegnare la donna, abbandonata dai suoi sequestratori in una macchina, parcheggiata nel quartiere di Mansour. Poi il viaggio verso il Falcon del Sismi, interrotto da un primo posto di blocco. E da un secondo, fino all’ultimo sulla ‘Route Irish’ da cui partì la raffica di colpi, sparati dai militari americani contro la Toyota.

Calipari non ci pensò due volte, abbracciò la donna che stava rannicchiata accanto a lui sui sedili posteriori e le fece scudo con il corpo. Uno dei proiettili lo colpì alla testa. Le lancette dell’orologio avevano appena segnato le 20.55. Giuliana Sgrena era ferita, ma viva. Il generale prima l’aveva salvata, liberandola, poi sacrificandosi per proteggerla. Aveva portato a termine il suo compito e lo aveva fatto perdendo la vita.

L’operazione diventata un lutto

A premere il grilletto era stato un addetto alla mitragliatrice, appartenente alla 42ª divisione della New York Army National Guard, ma sull’accaduto esistono due ricostruzioni ufficiali. Una italiana, l’altra americana. Secondo la testimonianza dell’inviata in Iraq la pattuglia dei soldati americani non aveva fatto alcun segnale per identificarsi o per intimare l’alt, secondo il governo statunitense nessuno dei funzionari era a conoscenza dell’operazione condotta dal Sismi, né dell’identità delle persone a bordo di quell’auto. Insomma, la sparatoria avvenuta il 4 marzo 2005 al posto di blocco, su una delle strade più pericolose di Bagdad, era stata solo un «tragico incidente». Il marine, accusato di omicidio volontario dalla magistratura italiana, per gli Usa aveva seguito il protocollo: avrebbero aperto il fuoco perché temeva di trovarsi di fronte a un’auto imbottita di esplosivo.

Fatto è che la morte di Nicola Calipari – esperto in missioni impossibili, perfezionista sul lavoro, marito e padre – è stata archiviata senza colpevoli. Rigore, professionalità e umanità.



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