La sentenza sull’omicidio del giovane pastore albanese: “Roi ha usato le armi per divertirsi con la vita altrui”

È uno dei passaggi chiave delle 76 pagine di motivazioni della sentenza del giudice estensore Maria Francesca Mariano

“Roi sparò con arma da fuoco carica ad altezza d’uomo, pur sapendo che lì, in quel terreno a ridosso della casa, c’era un uomo che pascolava le sue pecore visibili ed in sosta nei pressi dell’abitazione”.
È la ricostruzione dell’omicidio del giovane pastore albanese, Qamil Hyraj, contenuta nelle motivazioni della sentenza di condanna a 30 anni di reclusione, emessa dalla Corte d’Assise (presidente Pietro Baffa, a latere Maria Francesca Mariano e giudici popolari) per omicidio volontario con dolo eventuale, a carico di Giuseppe Roi, 41enne di Porto Cesareo.

“Un classico caso di scuola di omicidio avvenuto per futili motivi, sebbene l’aggravante non sia stata contestata, perché un giovane vent’enne.. .dedito al lavoro oltremisura, nel sogno di costruirsi un futuro luminoso e libero dal bisogno nella sua Albania, è stato ucciso perché un uomo capriccioso e superficiale ha usato le armi per divertirsi con la vita altrui”.
È uno dei passaggi chiave delle 76 pagine di motivazioni della sentenza del giudice estensore Maria Francesca Mariano. E come sostenuto dal pubblico ministero Carmen Ruggiero nella requisitoria (con cui ha invocato la condanna a 25 anni) si parla di “un gioco macabro”. Il giudice Mariano sottolinea come Roi: “si sia prefigurato la morte del giovane, in caso di sparo libero ad altezza d’uomo, ed abbia non solo accettato la circostanza, ma egli avrebbe continuato a sparare liberamente ad altezza d’uomo, come aveva già fatto tante altre volte, anche se avesse visto o intravisto il giovane, perché per lui sparare era quasi un gioco, un impulso irrefrenabile difficile da arginare”. Sulla base della ricostruzione dei fatti, il giudice Mariano ritiene dunque che Roi “agì sorretto dal dolo eventuale rispetto all’evento morte”. Il relatore si sofferma poi sul comportamento processuale tenuto dall’imputato, sostenendo che: “per tutto il processo ha serbato lo stesso silenzio colpevole che tenne assiduamente con i familiari del giovane giunti dall’Albania per piangere il ragazzo ed avere spiegazioni”.

Ed a tal proposito il giudice conclude, citando la dolorosa frase pronunciata in aula dal padre di Quamil : Un cittadino italiano ha ucciso mio figlio, non voglio che lo Stato italiano uccida pure me”.
Ricordiamo che la Corte d’Assise ha disposto il risarcimento del danno in separata sede ed una provvisionale di 50mila euro, per ciascuno dei familiari della vittima, il 24enne Qamil Hyraj, che si erano costituiti parte civile con gli avvocati Ladislao Massari e Uljana Gazidede.
Ora che sono state depositate le motivazioni della sentenza, la difesa, rappresentata dagli avvocati Francesca Conte e Giuseppe Romano, proverà a far valere le proprie ragioni in Appello. I due legali nel corso della discussione del processo di primo grado, hanno chiesto l’assoluzione di Giuseppe Roi, sottolineando come dalle risultanze dibattimentali sia emerso che l’intero impianto accusatorio si fondi su congetture e sospetti, privi di fondamento. Nello specifico, la difesa ha sottolineato come non vi siano prove del fatto che Roi fosse sul luogo del delitto al momento dei fatti. E inoltre, non sarebbe stata accertata con sicurezza la tipologia di arma, come affermato dai consulenti di parte: il generale Luciano Garofano ed il professore Martino Farneti.

Occorre ricordare che nell’immediatezza dei fatti, il pm contestò a Giuseppe Roi il reato di omicidio volontario, ma i giudici del Riesame, riqualificarono il reato in omicidio colposo. Il pm Ruggiero, nel corso del processo ribadì l’accusa di omicidio volontario. E si celebrò una nuova udienza preliminare, davanti al gup Edoardo D’Ambrosio che rinviò a giudizio Giuseppe Roi per quest’ultima ipotesi di reato.

I fatti

La tragedia risale al 6 aprile del 2015, quando intorno alle 12:55, nelle campagne fra Torre Lapillo e Torre Castiglione, fu ritrovato il cadavere del giovane pastore albanese, Qamil Hyraj. Il 24enne era stato ‘freddato’ da un colpo di arma da fuoco sparato ad altezza d’uomo. Sette mesi dopo, venne arrestato il suo datore di lavoro e amico, Giuseppe Roi, proprietario di un’azienda ovicola. Il primo colpo come rivelato dai rilievi balistici effettuati, avrebbe trapassato un frigorifero da parte a parte richiamando “l’attenzione” di Hyraj che, in quel momento, stava guardando il gregge. Il ragazzo si sarebbe voltato ed è lì che sarebbe stato raggiunto da un secondo colpo.



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