
“Non un momento di cedimento, né un attimo di umana pietà“. È quanto affermato dal gup Aristodemo Ingusci del Tribunale dei Minorenni nelle 73 pagine della sentenza con cui Lucio Marzo è stato condannato a 18 anni ed 8 mesi per l’omicidio di Noemi Durini (oltre ad alcuni reati “satellite”), al termine del processo con il rito abbreviato.
La premeditazione e le interferenze del nucleo familiare
Il giudice sottolinea, in particolare, la premeditazione del giovane di Montesardo, 17enne all’epoca dei fatti, (ora 19enne). Noemi si spense proprio sotto gli occhi di Lucio che “benché impegnato nella frenetica attività della sepoltura…si accorse di quanto stava accadendo intorno a sé e per sua opera”. Inoltre, “avrebbe avuto sicuramente il tempo ed il modo per frenare la sua furia omicida e porre in essere comportamenti di operoso ravvedimento, ma non lo fece”.
A sostegno della premeditazione vi sarebbe ” la consapevolezza che ..il rapporto con Noemi è in grave crisi, il che accresce l’ansia di perderla”. Inoltre, viene sottolineata la scelta non occasionale del luogo dell’omicidio dove i due fidanzati si erano appartati in altre occasioni e del tempo (le prime luci del mattino).
Il giudice, infine, sottolinea altri aspetti che avrebbero portato Lucio a maturare l’estrema decisione. Definisce, infatti, il rapporto con Noemi “una storia tormentata dalle continue interferenze e dai pesanti condizionamenti del nucleo familiare“. Il dr. Ingusci ritiene “Sempre più conscio di non essere in grado di contrapporsi e nella crescente paura di un abbandono di Noemi, a poco a poco l’imputato è giunto ad individuare nella ragazza la causa reale della sua situazione di disagio che lo vede serratamente seguito e controllato dal padre”.
La capacità d’intendere e di volere
Il gup sostiene poi che “pure in presenza di una personalità limitata sotto il profilo delle competenze cognitive e culturali, lo stesso era capace di libero volere”. Come emerso dalla perizia psichiatrica “la ricostruzione della fasi dell’omicidio non rivela elementi dissociativi né amnesie significative, si evidenzia una capacità di controllo dei propri gesti e di governo del proprio comportamento, tale da poterlo definire come espresso e regolato in piena autonomia”. Inoltre, era capace d’intendere, visto che “ha avuto la rapida premura di allontanare da sé ogni possibile sospetto e dopo la confessione ha disorientato gli interlocutori verso alterne versioni dei fatti”.
I futili ed abietti motivi
Non solo, secondo il giudice, Lucio Marzo avrebbe agito per futili e abietti motivi, ritenendo “la spinta omicida finale determinata dalla malata ma lucida gelosia che l’imputato provava nei confronti della vittima contro la quale agiva con spirito punitivo e di sopraffazione dettato dall’intolleranza per la sua autodeterminazione”.
Inoltre, appare “profetica”, la frase di Lucio contenuta in una lettera indirizzata a Noemi, quand’era ancora in vita: “Quando una cosa è mia, la voglio per sempre ed a tutti i costi e così sarà per sempre”. E continua il gup: “Lucio uccise Noemi per impedirle in futuro di poter donare ad altri il suo amore e per punirla della sua diversità da sé, in particolare per la forza ed il coraggio con la quale viveva la propria esistenza”.
La ricostruzione dell’omicidio
Inoltre viene contestata la crudeltà per aver colpito la Durini ” con efferatezza a sassate ed avendo depositato sul corpo della stessa, ancora agonizzante, grossi sassi di pietra”
Come emergerebbe dai riscontri autoptici, il colpo con il coltello sarebbe stato inferto da tergo e in base a quanto sostenuto dallo stesso Lucio “alla nuca…una sola volta e mentre Noemi giaceva per terra. Il ragazzo aveva raccontato “l’ho colpita la pietra un paio di volte e poi l’ho trascinata dove ho visto che c’era un parite scarrato”.
La conoscenza dell’imputato che Noemi fosse ancora viva durante il seppellimento (prima dell’esito dell’autopsia) emerge da un colloquio con il padre, nel carcere minorile, intercettato dagli inquirenti. Lucio afferma ” io ho messo tutte le pietre ma lei…cercava di muoversi …però c’erano talmente tante pietre che non riusciva a muoversi….quindi è morta direttamente”. Inoltre, aggiunge il giudice, “nessuna traccia ematica dell’imputato è stata rinvenuta sul posto, il che conferma come l’unica a subire l’aggressione sia stata appunto la giovane Durini”.
Non solo, il gup sostiene l’ipotesi di reato di occultamento di cadavere (non soppressione) affermando che “l’intenzione dell’imputato non fosse quella di rendere impossibile per il futuro il rinvenimento del corpo, quanto di nasconderlo per un limitato periodo di tempo come si ricava dalla sommarietà della sepoltura che non copriva integralmente il cadavere..”
Infine, il giudice nelle ultime pagine della sentenza, ritiene di poter procedere alla unificazione di tutti gli illeciti sotto il vincolo della continuazione (anche quelli “minori”), considerandoli il collante soggettivo delle varie manifestazioni di intolleranza che il Marzo espresse in quel lasso di tempo.
Lucio Marzo è assistito dall’avvocato Luigi Rella, il quale dovrebbe a breve proporre ricorso in Appello.