Oltre 120 Carabinieri in forza ai reparti dal Comando Provinciale di Lecce, con l’ausilio dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Puglia” e delle unità antidroga e anti-esplosivo del Nucleo Carabinieri Cinofili di Modugno, supportate dall’alto da un velivolo del 6° Nucleo Elicotteri Carabinieri di Bari. Sono questi alcuni numeri che ha visto impegnati dalle prime luci dell’alba di oggi i militari dell’Arma in un’operazione finalizzata all’esecuzione di un provvedimento di custodia cautelare emesso dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Lecce, Sergio Tosi, nei confronti di 15 persone (di cui 11 in carcere e 4 agli arresti domiciliari), nella quale si ipotizza l’esistenza di un’associazione di tipo mafioso, finalizzata all’usura, alle estorsioni, alla violenza privata, alla detenzione e porto illegale di armi, allo spaccio di sostanze stupefacenti e, per alcuni dei sodali, anche allo scambio elettorale politico mafioso.
I nomi
Sono finiti in carcere: Michele Coluccia, 63 anni, di Noha (frazione di Galatina); Antonio Coluccia, 65 anni, di Noha; Silvio Coluccia, 52 anni, di Noha; Gerardo Dino Coluccia, 49 anni, di Noha; Antonio Bianco, 49 anni, di Aradeo; Marco Calò, 47 anni, di Aradeo; Luigi Di Gesù, 52 anni, di Cutrofiano; Alì Farhangi, 61 anni, di Surbo; Nicola Giangreco, 54 anni, di Aradeo; Renato Puce, 45 anni, di Corigliano; Cosimo Tarantini, 56 anni, di Neviano.
Disposti i domiciliari, invece, per: Antonio Megha, 62 anni, ex sindaco di Neviano; Sergio Taurino, 57 anni, di Lecce; Vitangelo Campeggio, 49 anni, di Lecce; Pasquale Anthoni Coluccia, 30 anni, di Noha.
I comuni coinvolti nelle indagini
L’indagine si è sviluppata nei territori di Galatina, Aradeo, Neviano, Cutrofiano e Corigliano d’Otranto ed è stata condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo di Lecce, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, dalla primavera del 2019 sino all’inizio del 2021.
Le risultanze investigative
Gli elementi raccolti – che comunque, nel pieno rispetto del principio di innocenza ultimamente rafforzato dalla legislazione di Governo, non acclarano profili di colpevolezza – avrebbero posto in superficie modalità di comportamento associativo connotate dal carattere mafioso, destinate all’affermazione di un’egemonia dell’organizzazione sui territori coinvolti dalle indagini, con l’utilizzo dell’intimidazione, accompagnata in parte anche allo spessore criminale di alcune persone, facendo sì che vi fosse una condizione di assoggettamento e omertà ai danni di terzi.
Le modalità investigative
L’operazione, si è sviluppata attraverso un’articolata attività di intercettazione, accompagnata da servizi di osservazione e pedinamento e avrebbero consentito di documentare l’attuale operatività di un’agguerrita associazione di stampo mafioso, che rappresenterebbe – sin dagli anni settanta – un punto di riferimento della criminalità organizzata salentina, caratterizzata da una struttura organizzativa a carattere verticistico, connotata da vincoli gerarchici, a capo della quale figurerebbero due esponenti della Sacra Corona Unita che, tornati in libertà, avrebbero ripreso le attività illecite, mediante un controllo del territorio, avvalendosi proprio della loro consolidata nomea criminale.
Nello specifico, l’azione illecita del sodalizio mafioso si sarebbe esplicata attraverso l’attività di prestito di denaro a usura, accompagnata da estorsioni, imposizioni di versamento del cosiddetto “punto cassa” per l’esercizio dello spaccio di droga, oltre che dalla gestione di commissioni apparentemente lecite, quali la sottoscrizione di contratti assicurativi o fornitura di energia elettrica. Il controllo delle attività sarebbe avvenuto avvalendosi della condizione di assoggettamento, presente nel contesto territoriale nel quale storicamente la Scu aveva esercitato una vis intimidatoria.
Le maglie della malavita, inoltre, si sarebbero insinuate anche nelle fila della pubblica amministrazione, sancendo un rapporto criminale impostato sullo scambio elettorale politico–mafioso, in base al quale il sodalizio avrebbe assicurato a un candidato alle ultime elezioni amministrative – svoltesi nel settembre 2020 in un Comune salentino – almeno 50 voti a fronte di una contropartita di denaro, consentendogli così la nomina a consigliere (successivamente anche a quella di assessore). Le prove raccolte consentirebbero di ipotizzare che, nell’esercizio del mandato, questi avrebbe garantito l’assoggettamento della funzione pubblica ai desiderata dell’organizzazione.
L’attività investigativa, inoltre, ha consentito di ipotizzare l’imposizione di un tasso usurario ai danni di molte vittime, tra cui diversi imprenditori della zona, che sarebbe andato dal 20 al 25% mensile e in alcuni casi anche maggiore; individuare le attività formalmente “lecite” verosimilmente poste in essere dal clan, tra cui quelle gestite da un’agenzia che si occupava della stipula di contratti di energia elettrica, gas, acqua e polizze assicurative e sostenere che, il titolare di una scuola guida, avrebbe stretto un patto, assumendo il figlio di uno dei due capi ai vertici d, in forza del quale, avrebbe consolidato la sua posizione economica sul mercato ai danno di un’altra impresa concorrente. In cambio della “sponsorizzazione” i proventi dell’attività della scuola sarebbero confluiti, in parte, nelle casse dell’organizzazione criminale.