Ci sono storie che è difficile raccontare. È complicato quando si affronta un tema delicato, come quello delle foibe. Come nel caso di Norma Cossetto, difficilmente ricordata come una vittima della guerra che non dovrebbe avere colori davanti alla morte, ma come fascista che meritava la fine che ha fatto. E fascista lo era, perché non è nascondendo o negando le idee della studentessa o di suo padre Giuseppe, che aveva ricoperto incarichi importanti per il regime, un uomo con le idee politiche molto chiare tanto da aver partecipato alla Marcia su Roma, che si cerca la verità.
Per anni, la sua “fede” ha rappresentato una giustificazione al suo arresto e alla sua condanna a morte. Norma, che stava preparando una tesi dal titolo «Istria Rossa», come il caratteristico colore che la bauxite dà alla sua terra, ha pagato con la vita la voglia di vendetta dei partigiani, guidati dadi Josip Broz, meglio conosciuto come il Maresciallo Tito, che volevano lavare l’onta dei torti, veri o presunti, subiti durante il fascismo. E la violenza, si sa, non risparmia nessuno.
Papà Giuseppe sa bene che lo avrebbero cercato e trova rifugio a Trieste, sottovalutando il pericolo che corre la sua famiglia. Il 26 settembre 1943, Norma viene prelevata dalla sua abitazione e interrogata nella caserma di Visignano, una prima volta. I titini le chiedono notizie del padre e le propongono di entrare nel Movimento Popolare di Liberazione, ma lei rifiuta. Chissà se l’abiura l’avrebbe salvata dall’orribile sorte che le toccò a soli 23 anni. Il giorno dopo la scena si è ripetuta. La studentessa, che dopo la laure sogna di fare la maestra, fu portata via. Non tornerà mai più a casa. Fu condannata sbrigativamente a morte insieme ad altri ventisei compagni di sventura e gettata forse ancora viva in una foiba non lontano da Villa Surani. Resta incerto se tra i titini autori di questa mostruosità ci fossero anche alcuni partigiani italiani di fede comunista.
La Cossetto non fu l’unica vittima di questa violenza. Chi non è scomparso nel nulla verrà ritrovato nelle foibe e questo è un fatto che la storia ha finalmente riconosciuto, anche se su quell’orrore nascosto a lungo anche dai libri di storia è cominciata un’altra guerra, quella dei numeri. Come se il fatto che le vittime siano state dieci, cento, mille o diecimila rendesse più o meno orribile quanto accaduto.
Norma fu torturata e violentata, ma anche in questo caso si è detto che è impossibile stabilire se un corpo infoibato abbia o meno subito uno stupro, se sia stato violato o no. È stato detto anche che è “normale” che un corpo gettato come un sacco della spazzatura in una foiba presentasse segni e ferite e che era difficile stabilire se i segni fossero di una pugnalata, di torture o del semplice scorrere del tempo che aveva consumato il suo corpo. Quando Norma fu trovata, fu riconosciuta dalla sorella da un golfino di “lana tirolese” che lei amava tanto. Un anno dopo, un indizio simile aveva permesso di dare un nome ad un corpo appeso dai nazisti allo scalone del Palazzo Rittmeyer di via Ghega, un golfino verde che Laura Petracco portava nelle sere d’estate.
Stessa fine toccherà al padre, tornato da Trieste per cercare la figlia. Dopo essere caduto in un’imboscata insieme al cognato fu ucciso da un partigiano a cui aveva salvato la vita pochi mesi prima.
Si è scritto che Norma Cossetto è solo una delle tante donne che hanno perso la vita durante la guerra. È così. E proprio per questo è giusto parlarne, senza dimenticare che la 23enne è una vittima (e non è stata l’unica) della storia, non della politica. È importante ricordare per non lasciare che “una delle tante” sia accompagnato da un “tanto non contava nulla” detto sottovoce.
