
Il pentito Dario Toma è stato condannato a 20 anni di reclusione per sei vecchi omicidi di mafia in continuazione e assolto nel merito per un tentato omicidio.
La sentenza nei confronti del 51enne di Lecce è stata emessa dal gup Michele Toriello, al termine del processo con il rito abbreviato (permette lo sconto di pena di un terzo). Il gup ha inoltre disposto che Toma, scontata la pena, sia sottoposto alla libertà vigilata per 3 anni.
Il giudice ha applicato all’imputato una specifica attenuante per avere aiutato l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione degli autori dei reati. Tale collaborazione gli ha permesso di evitare la pena dell’ergastolo.
L’imputato, da diversi anni sottoposto a un programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia, è difeso dall’avvocato Sergio Luceri.
Dario Toma rispondeva a vario titolo ed in diversa misura di omicidio volontario e tentato omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, consistiti in contrasti per la supremazia in campo criminale nell’ambito di un’associazione mafiosa.
Il pm Giovanna Cannarile ha invocato la condanna a 15 anni di reclusione.
I fatti contestati
Il primo omicidio contestato dalla Procura risale al lontano 19 gennaio del 1989 e si verificò tra Lecce e Campi Salentina. La vittima, Luigi Scalinci, venne attinto da diversi colpi di pistola. Tra gli autori dell’omicidio compare il nome di Dario Toma e di due complici. Il movente? La supremazia sul territorio del gruppo criminale da lui capeggiato. Si trattò di un caso di “lupara bianca”, poiché il cadavere non venne mai ritrovato.
Il secondo omicidio, invece, è quello di Valerio Colazzo, avvenuto a Campi Salentina il 3 settembre del 1989. Vennero esplosi diversi colpi di pistola e fucile, per contrasti di supremazia territoriale e per vendicare l’uccisione di Ivo De Tommasi. Toma avrebbe agito in concorso con altre persone.
Cristina Fema, la fidanzata della vittima, si trovava occasionalmente in auto con Colazzo e rimase ferita. Per quest’ultimo episodio, il giudice ha disposto il non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
E poi c’è l’omicidio di Giuseppe Quarta, avvenuto l’11 ottobre 1989, sempre a colpi di arma da fuoco, in una località imprecisata poiché ritenuto anch’egli responsabile della morte di Ivo De Tommasi. Toma avrebbe poi partecipato all’omicidio di Giovanni Corigliano, di Veglie (appartenente al clan Tornese), assassinato all’età di 26 anni, il 5 novembre del 1989, sparando contro di lui diversi colpi di arma da fuoco ed occultando il cadavere.
E poi si arriva all’omicidio di Ornella Greco e a quello “tentato” ai danni del fidanzato Giuseppe Martina, 29enne (appartenente al clan Tornese)– avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 novembre del 1989 a Copertino – vero obiettivo del gruppo criminale di Toma, considerato l’autore dell’agguato assieme a due complici. La 24enne venne sparata in testa con un fucile a pallettoni. Martina, invece riucì a scampare all’agguato e portò Ornella in ospedale e, dopo la morte accertata della ragazza, abbandonò l’auto, fuggendo via.
Ricordiamo che in una scorsa udienza, si sono costituiti parte civile, i familiari di Ornella Greco, assistiti dagli avvocati Giuseppe Romano e Marcella Bianco. Oggi, il gup Toriello ha disposto il risarcimento del danno da quantificarsi in sede civile e disposto una provvisionale di 25mila euro ciascuno.
Riguardo il tentato omicidio di Martina, il gup ha invece disposto il non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
Dario Toma è stato ritenuto responsabile, anche dell’omicidio di Francesco Calcagnile, avvenuto a Galatone, il 10 dicembre del 1989. Questi venne freddato da diversi soggetti con vari colpi di fucile e pistola perché avrebbe fornito il proprio aiuto al clan Tornese. Toma si trovava in macchina in compagnia di altre persone.
Il pentito avrebbe infine partecipato, secondo la Procura, al tentato omicidio di Francesco Polito, unitamente ad altre due persone. Il grave fatto di sangue avvenne tra marzo e dicembre del 1998 a Lecce. Vennero esplosi diversi colpi di kalasnikhov; i sicari, però, si allontanarono credendo che Polito fosse già morto, sotto la pioggia di proiettili.
Toma è stato assolto dall’accusa di tentato omicidio, “perché il fatto non sussiste”.