La storia di Antonio Ammaturo, il vicequestore ucciso dalle Brigate Rosse

Antonio Ammaturo fu ucciso a pochi passi dalla sua abitazione in Piazza Nicola Amore, in pieno centro a Napoli, insieme al suo agente Pasquale Paola. I mandanti dell’omicidio sono rimasti senza nome

Anche l’omicidio del vicequestore Antonio Ammaturo, Capo della Squadra mobile di Napoli, è una delle tante pagine di storia del nostro Paese lasciate in bianco, un foglio dove manca la verità, la sola che avrebbe reso giustizia ad un uomo ucciso dalle Brigate Rosse in una mattina come tante di luglio. Se la giustizia è riuscita a dare un volto e un nome al gruppo di fuoco che ha tolto la vita al “poliziotto di ferro” e all’agente scelto Pasquale Paola, resta il buio sui mandanti, su chi abbia ordinato l’agguato. Anche perché sia stato condannato a morte, resta un mistero nascosto tra i fatti che hanno segnato quegli anni nei qual la Camorra, che cercava di fare il ‘salto di qualità’, dettava la sua legge.

L’omicidio

Erano da poco passate le 16.45 del 15 luglio 1982, un giovedì, quando il citofono di casa Ammaturo, nella centralissima piazza Nicola Amore, suonò. In strada c’era Pasquale Paola, l’agente scelto che aveva il compito di portare il Capo della Squadra mobile nel suo ufficio in Questura. Il vicequestore scese, ma appena entrato nell’auto di servizio fu travolto da una raffica di proiettili sparati da due uomini con una tuta da meccanico scesi una Fiat 128 di colore verde. Per il vicequestore non c’è stato nulla da fare. Stessa sorte è toccata al poliziotto della scorta che era al volante. Le BR rivendicano l’omicidio con una telefonata: “il capo della Squadra mobile Antonio Ammaturo, e il suo cane da guardia” sono stati annientati.

Le indagini

Le indagini scattarono subito partendo da una domanda chi aveva freddato Ammaturo sotto il portone di casa? Per rispondere era necessario capire perché era finito nel mirino. Alla fine la strada ha condotto a un commando della colonna napoletana delle Brigate Rosse. Le certezze finiscono con la condanna all’ergastolo di cinque persone, ma si tratta di una giustizia a metà. Manca sempre qualche pezzo nella ricostruzione di quel giovedì di luglio: mandanti e movente resteranno nel campo delle supposizioni, resteranno ipotesi mai confermate in un’aula di tribunale. Due i sospetti mai confermati. Uno, che l’omicidio del vicequestore fosse legato in qualche modo al rapimento di Ciro Cirillo, l’Assessore regionale ai Lavori Pubblici della Campania ‘prelevato’ dal garage della sua abitazione di Torre del Greco il 27 aprile 1981 e rilasciato ‘misteriosamente’ in un edificio abbandonato di Secondigliano.

Pare che Ammaturo avesse raccolto le voci di una trattativa segreta tra le Brigate Rosse, i servizi segreti e Raffaele Cutolo, il boss della Nuova Camorra Organizzata che già – e questa sarebbe la seconda strada – aveva covato rabbia e risentimento da quando il vicequestore aveva ammanettato il figlio Roberto dopo un blitz nel Castello mediceo di Ottaviano, mentre era in corso un vertice di camorra. Nella conferenza stampa si rivolse al boss definendolo Cialtrone.

Due porte da aprire per scoprire la verità, ma la chiave non è mai stata trovata. Che sia stato usato come merce di scambio per la liberazione dell’assessore o gli sia stato impedito di continuare le sue ricerche per scoprire gli intrecci tra mafia, politica, terrorismo e pezzi grossi della Democrazia Cristiana nessuno può dirlo. Ammaturo è stato fermato, per sempre, prima di scoperchiare il vaso di Pandora.

La morte del vicequestore resta ancora oggi senza un perché. Troppe cose non chiare. Troppi misteri.



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