“Volevamo migliorare la vita, ma l’abbiamo peggiorata”. La ‘confessione’ dell’omicidio nelle intercettazioni

Nelle intercettazioni telefoniche è contenuta una sorta di “confessione”. Tante le frasi che incastrerebbero le due donne accusate dell’omicidio di Donato Montinaro

La mancanza di riservatezza probabilmente è stata fatale per Donato Montinaro, il falegname in pensione trovato senza vita nella sua abitazione di Castri. Spiattellando ai quattro venti di avere molti soldi da parte, aveva attirato l’attenzione di amici e conoscenti. Tutti sapevano, e lo hanno raccontato ai Carabinieri che cercavano un movente per risolvere l’omicidio, che non si fidava delle banche, che i contanti preferiva averli in casa. Non solo, in più di un’occasione aveva confidato di essere alla ricerca di una donna disposta “a pagamento” a prendersi cura di lui e della figlia disabile che aveva paura di lasciare da sola.

Per questo, tra le piste seguite dai Carabinieri, c’era anche quella economica. Strada che ha condotto a Angela Martella, l’ultima ad averlo sentito il giorno del delitto. Una chiamata di 140 secondi alle 20.38, dieci minuti prima dell’irruzione in casa del pensionato. Controllati i contatti della donna, si è arrivati a Patrizia Piccinni e al convivente Antonio Esposito. I tre telefoni hanno agganciato tutti celle ‘vicine’ all’abitazione di Montinaro in un orario compatibile con l’omicidio. C’è anche un altro dettaglio, apparso quantomeno “strano”. Subito dopo l’aggressione, sia Piccinni che Esposito hanno dismesso le rispettive utenze e usato schede nuove che,  però, inserivano nei telefoni vecchi. Un indizio che da solo non basta a incastrarli. Quello dei telefoni, e degli spostamenti ricostruiti seguendo le celle, è solo uno dei tasselli trovati dagli uomini in divisa.

Utili sono stati anche i filmati registrati dalle telecamere di videosorveglianza, installate sia sul luogo dell’omicidio che sulle possibili strade imboccate per fuggire. Seguendo il percorso, gli uomini dell’Arma hanno notato la Hyundai Tucson, intestata a Angela Martella, usata quella sera per raggiungere l’abitazione del falegname. La macchina – ‘immortalata’ in via Roma alle 20.48 – probabilmente era stata parcheggiata nella traversa, in via Volta, la strada senza uscita dove una testimone aveva notato tre persone sospette. Altro dettaglio “strano”. Come dimostrano alcune intercettazioni, la donna avrebbe provato più volte a sbarazzarsi dell’auto, anche con una certa urgenza, per allontanare i sospetti da sé e dai complici. Temeva, infatti, che non fosse passata inosservata. E del resto era impossibile evitare tutte le telecamere installate sul percorso per andare a Casti o per tornare a casa. In quell’occasione, discutendo con la complice sul ‘prezzo’ con cui cederla, aveva detto di non essere disposta a scendere a meno di venti.

Patrizia: Io galera non me ne faccio te lo dico chiaro, chiaro, io galera non me ne faccio, per nessuno.

Angela: neanche io

Patrizia: eh appunto!

Angela: però Patrizia non è che neanche la devo bruciare

Patrizia: eh no e bruciati la vita, fai quello che vuoi. Sto chiudendo Angela, dai poi ci sentiamo dopo.

Le intercettazioni

Completano il complicato quadro, le intercettazioni telefoniche registrate dopo l’omicidio di Montinaro che, secondo il Gip, dimostrerebbero il coinvolgimento dei tre nel violento delitto. Frasi che potrebbero essere interpretate come una sorta di confessione via cellulare. Ci sono, ad esempio, le conversazioni in cui, commentando le notizie apparse sui giornali, gli indagati sembravano “sicuri” di averla fatta franca. Più volte, si legge, «hanno espresso il convincimento, fondato sul loro mancato arresto, che gli inquirenti non disponessero di prove sufficienti nei loro confronti». Ma se in questo caso – o quando le due donne sono state fermate per un controllo stradale ad Alessano e hanno teso l’orecchio per cercare di carpire cosa i militari stessero dicendo, per scoprire se il controllo era solo una “scusa” per raccogliere indizi  – la colpevolezza era nascosta tra le righe, altre conversazioni sono apparse come vere e proprie ammissioni di colpa. Patrizia Piccinni, ad esempio, commentando con Angela Martella il difficile periodo che stava attraversando, ha lasciato intendere di aspettarsi da un momento all’altro una convocazione in Caserma per il delitto. In altre, la donna ha espresso il desiderio di costituirsi, in altre ancora di togliersi la vita, al pari della sua amica e complice che aveva manifestato l’intenzione di lanciarsi dal ponte del Ciolo.

Le conversazioni che incriminano le due donne

Il 16 giugno, in una conversazione telefonica, Angela e Patrizia manifestavano il timore di un loro imminente arresto. Si mostravano rassegnate a preparare gli indumenti per essere condotte in carcere. Ammettevano di essere nei guai e confessavano di aver pensato al suicidio. “A su lu ponte de u Ciolu sta me ne scia. Ulia sulu me meno con tutta la machina” ha detto, ridendo, Angela. Le hanno pensate tutte: dalla possibilità di sfuggire all’arresto, all’intenzione manifestata da Patrizia di darsi alla fuga per sottrarsi ad una imminente cattura.

Sono veramente tante le conversazioni che, secondo il Gip, incastrano le due donne. Come quella del 26 giugno quando Angela, in auto con Patrizia, si lascia sfuggire una frase che sembra una confessione: “è vero che abbiamo fatto una fesseria per migliorare la vita, ma abbiamo peggiorato la vita”. In un’altra emerge che Patrizia abbia vuotato il sacco, raccontando tutto ad un uomo che, dopo l’ennesimo litigio, l’aveva minacciata ricordandole di essere a conoscenza delle cose gravi che aveva fatto. Senza contare anche l’intercettazione in cui Patrizia, riferendosi a Antonio Esposito, lo indica come esecutore materiale dell’omicidio: “ha ccisu nu cristianu!”

E ancora l’8 luglio, Angela ha commentato con Patrizia l’omicidio, richiamando alle mente il suo tentativo di evitare che la situazione sfuggisse di mano: «Abbiamo fatto uno sbaglio…io non volevo, io vi ho detto state precipitando le cose, ve l’ho detto?». «Eh la paura faceva novanta» ha risposto la complice, lasciandosi sfuggire di essere l’unica ad aver lasciato le sue impronte sulla scena del crimine. «Che cazzo me ne frega più, cu venene. Sto aspettando proprio il giorno… adesso vado e mi consegno da sola».

Certo è che tra i discorsi si è intrufolata anche la possibilità di adescare nuove vittime. In una telefonata del 14 agosto, Patrizia ha chiesto ad un uomo (non identificato) l’ammontare della sua pensione di invalidità e questi, ignaro di tutto, umoristicamente le diceva “per un omicidio quella lì massima”. Patrizia, sorpresa della genuina affermazione dell’uomo, lo invitava a non parlare più di omicidi e, a tal proposito, diceva che quando sarebbe stato (lui) in punto di morte gli avrebbe confessato tutte le “cazzate” di cui era responsabile.

Dopo l’omicidio, insomma, i ‘sentimenti’ delle due donne sono stati contrastanti. Si sono mostrate preoccupate per la loro sorte, temendo di essere arrestate. Hanno manifestato l’intenzione di togliersi la vita, ma hanno anche usato tutte le accortezze per cercare di sviare i sospetti.



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