Si conclude con la conferma della condanna a 30 anni, il secondo processo di Appello a carico di Giampiero Mele, reo di avere ammazzato 6 anni fa, il figlioletto di soli due anni.
I giudici della Corte d'Assise d'Appello di Taranto (presidente Rossella Sinisi) hanno ribadito come il 31enne di Taurisano, sia da ritenere colpevole dell'omicidio volontario del figlio Stefano. Il processo conclusosi oggi, era stato disposto dalla Corte di Cassazione che due anni fa aveva ritenuto "immotivata" la mancata concessione, nel primo processo d'Appello, delle aggravanti dei futili motivi e della crudeltà, oltre che delle attenuanti generiche, disponendo l'annullamento con rinvio.
Invece, già gli "Ermellini" avevano confermato la tesi principale sostenuta dall'accusa e poi accolta dai giudici dei vari gradi di giudizio. Giampiero Mele, quando il 30 giugno del 2010, condusse il figlio nella casa al mare di Torre San Giovanni e lo ammazzò senza pietà, era capace di intendere e di volere.
Questa tesi era stata riconosciuta dai consulenti Domenico Suma ed Antonello Bellone nominati nel processo di primo grado celebratosi con il rito abbreviato, dal giudice Carlo Cazzella. I consulenti sostennero che le ragioni dell'assurdo gesto di Mele, andassero ricercate nel deterioramento del rapporto con la coniuge.
La moglie Angelica Bolognese si è costituita parte civile con gli avvocati Alessandro Stomeo e Salvatore Centonze ottenendo una provvisionale di 100mila euro nel primo processo d'Appello . Invece, il risarcimento per i nonni Roberto e Rosanna Manisco dovrà essere stabilito in sede civile. Giampiero Mele è assistito dagli avvocati Gabriella Mastrolia e Carlo Federico Grosso.
Secondo l'accusa, rappresentata dal pubblico ministero Guglielmo Cataldi, Giampiero Mele nel giugno del 2010 dopo aver preso il figlio dalla casa dei nonni materni,con la scusa di portarlo al mare si era fermato, all'ingresso di Torre San Giovanni, in una ferramenta per acquistare una corda di Nylon e un taglierino. Pochi metri più in là, la casa estiva dei genitori del ragazzo, che sarebbe diventata il teatro della macabra tragedia. Secondo le ricostruzioni processualei, il 25enne ha prima tentato di impiccare il figlio in bagno, poi, temendo che i vicini potessero udire le grida, gli ha reciso la carotide con il taglierino. In una lettera lasciata sul tavolo della cucina, un addio in cui traspariva l'odio e la rabbia verso la compagna, Angelica Bolognese.